#14 Diario Europeo: il populismo 2.0 in Europa

a cura del Centro Studi di Acmos

Nel suo recente volume Populismo 2.0 edito da Einaudi, Marco Revelli analizza le nuove forme assunte dal populismo in Occidente (un populismo di nuova generazione, per questo da lui definito “2.0”) confrontandole con quelle tardo-ottocentesche e poi novecentesche.

 

Nella grande varietà dei populismi riconosce alcuni tratti comuni: il riferimento al “popolo”, nella sua dimensione di comunità vivente, organica, senza divisioni al suo interno, vissute come deleterie; la “verticalità” del conflitto, tra il popolo nella sua purezza e un’entità al di sopra (élite privilegiata) o al disotto (immigrati); la convinzione che ci sia un “tradimento”, cioè abusi e complotti orditi ai danni degli onesti cittadini; l’idea di un necessario “rovesciamento”, cioè la cacciata dell’oligarchia usurpatrice e la restaurazione della sovranità popolare, che si esercita non più attraverso la mediazione delle vecchie istituzioni rappresentative ma grazie all’azione di leader in grado di fare “il bene del popolo”.

Revelli interpreta il populismo come sintomo della crisi della democrazia rappresentativa, di un deficit di rappresentanza: ogni volta che una parte consistente dei cittadini (del “popolo”) non si sente rappresentato emerge un qualche tipo di reazione cui si dà il nome di “populismo”. Oggi esso si presenta come “malattia senile della democrazia”, nel momento in cui nuove dinamiche oligarchiche marginalizzano il ruolo dei cittadini, i quali, come reazione, abbandonano le vesti del “popolo democratico” per assumere quelle della “plebe”, un popolo di imbarbariti sociali carichi di rancore, frustrazione, intolleranza. Mentre i movimenti populisti tardo-ottocenteschi erano una “rivolta degli esclusi”, cittadini privi del diritto di voto o socialmente emarginati, il populismo contemporaneo si configura come una “rivolta degli inclusi”, di cittadini a pieno titolo che si vedono privare di una adeguata rappresentanza politica.

Il libro di Revelli, dopo aver definito ciò che si intende per populismo e aver dedicato un capitolo alla ricostruzione di un quadro storico dei vari movimenti populisti dell’Ottocento e del Novecento, affronta lo shock provocato dalla vittoria di Trump alle presidenziali americane, che costituisce il ritorno in grande stile del populismo nel nostro secolo. La prima osservazione dell’autore è che la geografia elettorale del voto ricalca incredibilmente, a distanza di un secolo, quella di precedenti ondate populiste negli Usa. Una seconda osservazione riguarda il fatto che, come si è detto in precedenza, non si è di fronte ad una rivolta di poveri bensì alla vendetta dei deprivati, di coloro che sono stati privati di qualcosa che prima possedevano: il primato di maschio, una parte del reddito, lo status sociale, il rispetto per la propria fede, il proprio Paese e il suo ruolo nel mondo; e i responsabili di questo scippo sono, volta a volta, le élites finanziarie, i gay, gli ispanici e i neri, i petrolieri arabi che si comprano pezzi del Paese … .

Ai populismi europei sono dedicati due capitoli: nel primo si analizza il fenomeno della Brexit (giudicato ovviamente come una manifestazione vincente del populismo), nell’altro i populismi francese e tedesco. Infine un capitolo è dedicato anche ai populisti italiani: Grillo, Berlusconi, Renzi.

Revelli riporta le analisi di alcuni studi che mostrano come il voto nel Regno unito sia stato più “geografico” che politico (almeno secondo le categorie tradizionali laburisti/conservatori), più territoriale che ideologico: Scozia, Irlanda e la Greater London per il Remain ed il resto dell’Inghilterra per il Leave. E, come nel voto per Trump negli Usa, anche qui le aree rurali e i piccoli centri di provincia hanno compattamente votato per il Leave e le aree metropolitane per il Remain. Alla frattura città/campagna si è poi intrecciata una frattura sociale: oltre alle campagne poco scolarizzate e poco informate, anche quelle città di medie o grandi dimensioni più segnate dal declino della Old Economy e del manifatturiero hanno votato per il Leave. Invece hanno votato per il Remain quei cittadini maggiormente beneficiati dalla New Economy, quelli legati alle “attività creative” del terziario e del quaternario avanzato inserite nella globalizzazione. Interessante notare come la reazione negativa all’immigrazione (tema quest’ultimo molto importante nella campagna elettorale) si sia manifestato nei territori con una minore presenza di immigrati: prova di quanto la paura, gli allarmi “percepiti”, giochino un ruolo fondamentale in queste occasioni.

Ed è proprio la paura il tratto comune ai due schieramenti: da una parte la paura dell’immigrazione, della perdita di controllo su se stessi e i propri confini, dall’altra la paura dell’impoverimento che farebbe seguito all’abbandono del Paese da parte dei capitali globali. Ma se la paura è stato il denominatore comune nel referendum, allora, conclude Revelli, qualcosa si è rotto nei fondamenti della coesione sociale.

Nella consultazione referendaria britannica non si sono confrontate culture politiche consolidate, blocchi identitari stabili; c’è stato un mood, uno stato d’animo, che nel fronte populista si è manifestato come un senso di scontento diffuso.

Il capitolo successivo si inaugura con una disamina della trasformazione del Front National in Francia, che gli ha permesso in pochi anni di diventare un protagonista della vita politica. Riprendendo alcuni studi francesi, Revelli osserva che è stata la globalizzazione e le politiche liberiste ad essa abbinate a rimescolare la geografia politica del Paese, avvicinando al Front National categorie sociali prima poco presenti nel suo elettorato (ad esempio gli operai): paura dell’immigrato e “discorso social-populista” (antieuropeista, antiglobalizzazione, antioligarchico, nazionalista in senso sociale) hanno costituito gli ingredienti del suo successo.

Quanto alla Germania, Revelli polemizza con chi pensa che il populismo tedesco sia un “populismo da ricchi” (e non un “populismo da deprivazione” come in altri casi). Nonostante il mito degli alti salari tedeschi, attualmente il salario reale medio è più basso di venticinque anni fa, le
diseguaglianze sono aumentate, il “rischio povertà” è andato crescendo, si è ampliata la fascia del lavoro precario e sottopagato. E’ questo insieme di fattori, che secondo Revelli, ha acuito la tradizionale Angst tedesca (un insieme di paura, ansia, preoccupazione) e che ha trovato il suo punto di caduta nell’ostilità verso rifugiati e immigrati musulmani, spendaccioni mediterranei e così via.

Anche se analizzato per ultimo, il neopopulismo italiano viene considerato da Revelli un vero laboratorio di sperimentazione di questo fenomeno politico, sia per la sua durata che per le forme diverse che ha assunto.

Innanzitutto c’è stato il berlusconismo, che ha anticipato di una quindicina d’anni la crisi di sistema che poi, sotto la spinta della globalizzazione, avrebbe prodotto l’attuale neopopulismo delle società occidentali. Tramontato il berlusconismo, anche con la fine della centralità della televisione come tecnologia comunicativa (sostituita dal web), oggi l’Italia propone due peculiari forme di populismo: il “cyberpopulismo “ di Grillo e il “populismo dall’alto” di Renzi.

Il primo, pur condividendo gli elementi caratterizzanti il neopopulismo, si distingue dai movimenti populisti di destra in quanto conduce spesso anche battaglie ambientaliste, pacifiste, in difesa dei beni comuni e propugna (pur fra mille contraddizioni) una democrazia partecipativa.

Anche il neopopulismo di Renzi si distingue dagli altri: rappresenta, per Revelli, il tentativo di costruirsi una base popolare “attraverso l’impiego di retoriche tipicamente populiste e di comportamenti (apparentemente) trasgressivi in funzione della legittimazione (“in basso”) di politiche sostanzialmente conformi alle linee guida volute e dettate “in alto” “. Si tratta di un “populismo di governo”, che non ha né caratteri identitari (come quello delle destre) né sociali (come quello di Mélenchon in Francia).

Questa operazione di “populismo dall’alto” si è infranta contro il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016: e la mappa del NO ricalca quella del disagio, sociale, generazionale, territoriale. Come nel referendum inglese, i NO crescono con il diminuire del reddito, con l’aumentare della disoccupazione, con il passaggio dai centri alle periferie delle grandi città. Potremmo aggiungere, all’analisi di Revelli, che in questo caso il disagio sociale, che è il brodo di coltura dei populismi, ha reso inefficace il populismo renziano.

Se l’Italia è stato un laboratorio del neopopulismo, ciò lo si deve al declino del nostro Paese (precedente alla crisi del 2008), che ha affrontato nel modo peggiore l’esaurimento del modello economico-sociale basato sulla grande industria e il passaggio ad un nuovo modello centrato su un manifatturiero altamente competitivo e su un terziario avanzato. L’Italia è il Paese in Europa in cui l’impoverimento ha coinvolto la percentuale di popolazione più ampia ma tale dinamica si inserisce in quella presente in tutti i paesi industrializzati in cui, in circa un ventennio, vi è stato uno spostamento del rapporto tra profitti e salari nettamente a favore dei primi. Per il nostro autore, questa “guerra” dell’alto (il capitale) contro il basso (il lavoro) costituisce la base materiale dei movimenti populisti; siamo in presenza di, citando Revelli, “una moltitudine di insoddisfatti e di arrabbiati – di “traditi” o di percepiti tali -, trasversalmente distribuiti nelle società occidentali, estranei alle tradizionali culture politiche perché nessuna di esse riflette più la loro nuova condizione. […] Umiliati dalla distanza che vedono crescere nei confronti dei pochi che stanno sulla cuspide della piramide. […] Privi di un linguaggio adeguato a comunicare il proprio racconto, persino a strutturare un racconto di sé, e per questo consegnati al risentimento e al rancore”.

 

 

#1-Il ministro del Tesoro della Ue

 #2- Brexit e profughi

#3-Il rinato impero asburgico contro i migranti

#4-La disintegrazione dell’Unione europea

#5 – Frontiere e nazionalismi

#6- Bruxelles “cuore” d’Europa

# 7 – Profughi: la nostra ignavia da Evian a Bruxelles

#8 – Un manuale antiretorico dell’Unione europea

#9 – Ventotene 2016

#10 – Orban e il referendum ungherese

#11 – Populismi ed euroscetticismi

#12 – L’unione a più velocità

#13 – Populismo, euroscetticismo, sovranismo

23/06/2017
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