Diario Europeo – Il ministro del Tesoro della Ue

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Diario Europeo” è la nuova rubrica di acmos.net, scritta dal Centro Studi.

Vi proponiamo il primo approfondimento.

 

Nei primi giorni di febbraio, i due governatori delle Banche centrali di Germania e Francia, Francois Villeroy de Galhau e Jens Weidmann, hanno proposto, come già suggerito da Mario Draghi, la creazione d’un ministro del Tesoro unico per i paesi dell’Eurozona.

Lo scopo sarebbe il superamento della asimmetria nel rapporto tra la politica monetaria unica e le politiche economiche di finanza pubblica nazionale; il ministro del Tesoro dell’eurozona sarebbe la risposta a quanti lamentano il fatto che la politica monetaria della Banca Centrale Europea manca di un governo unitario del bilancio e della politica economica quale interlocutore istituzionale.

 

 

In Italia, i commenti favorevoli hanno sottolineato che le regole e i vincoli oggi imposti alle politiche fiscali nazionali per evitare deragliamenti delle finanze pubbliche si sono rivelati inadeguati (si veda il caso della crisi greca): l’alternativa è appunto rafforzare le politiche europee che proteggano dai rischi dell’instabilità dei mercati, riducendo i margini di autonomia nazionale nelle politiche fiscali. Inoltre la proposta dei due banchieri centrali prevede anche  un programma di unione  dei finanziamenti e degli investimenti che permetterebbe una politica di crescita economica che finora non c’è stata.

 

 

I commenti sfavorevoli, o semplicemente critici, fanno innanzitutto rilevare come in questo momento, in cui l’Europa è divisa su tutto o quasi (Schengen ed immigrazione, flessibilità nei rapporti deficit/Pil, Unione bancaria e così via), è poco credibile che sia davvero praticabile una maggiore condivisione di sovranità.

La proposta, poi, così come è stata formulata è molto vaga e non sono ben definiti i poteri del superministro. Maliziosamente ci si chiede se egli potrà costringere Francia e Germania a rispettare quelle regole che esse invece talvolta non rispettano o se sarà l’ennesimo censore dei comportamenti dei Pigs, i Paesi deboli osservati speciali. Il ruolo del superministro sarebbe accettabile solo se le regole sul bilancio degli Stati membri fossero chiare (cosa che attualmente non sono) e se esse venissero votate da un Parlamento dell’eurozona.

Si conclude che, se passo avanti deve esservi, con cessione di sovranità da parte degli Stati, allora bisogna procedere sulla strada di una vera unione politica.

 

 

Mini-Schengen

Il 10 febbraio sono state approvate a Bruxelles le raccomandazioni che impongono al governo di Tsipras di bloccare il flusso dei profughi in arrivo dalla Turchia verso l’Europa del Nord. Una visita senza preavviso di esperti della Ue avvenuta a novembre nei centri di accoglienza ellenici aveva riscontrato “gravi carenze nei controlli alle frontiere esterne”.

Se entro tre mesi la Grecia non metterà in sicurezza i suoi confini esterni, a maggio Austria, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Olanda e Norvegia saranno autorizzate a mantenere i controlli per altri 24 mesi alle loro frontiere: cioè Schengen sarà sospesa per altri due anni.

Il timore di Italia e Grecia in particolare è che i Paesi del Nord sigillino le frontiere verso l’Europa del Sud mantenendo aperte quelle fra di loro e creando così una sorta di mini-Schengen.

In visita in Italia, il cancelliere austriaco Werner Faymann ha dichiarato che l’Austria si sta apprestando a ripristinare degli “impianti fisici” per controllare i confini: la preoccupazione italiana è che uno di questi possa ovviamente essere al Brennero, al confine tra Italia ed Austria. Il ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, ha ricordato che il limite massimo dei 37.500 migranti che l’Austria si è detta disponibile ad accettare sarà raggiunto alla metà di marzo; da quel momento  Vienna fermerà i migranti alle proprie frontiere.

Nei giorni scorsi la Commissione ha stimato che il ripristino dei controlli alle frontiere verrebbe a costare tra i 5 e i 18 miliardi l’anno; il turismo perderebbe dai 10 ai 20 miliardi.

 

 

Varoufakis e il DiEM

 

Il 9 febbraio a Berlino, Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco, ha lanciato il  Democracy in Europe Movement 2025 (DiEM). Lo scopo è coagulare, intorno ad un progetto di democratizzazione dell’Unione europea, movimenti sociali, forze politiche, intellettuali, dando vita ad un movimento sovranazionale pan-europeo che superi il carattere “nazionale” degli attuali partiti democratici e di sinistra dell’Unione: vorrebbe essere la risposta sia all’attuale tendenza alla disintegrazione della Ue sia ai progetti di maggiore coesione politica della Ue che hanno come obiettivo un rafforzamento delle istituzioni centrali ma non una loro democratizzazione. Il 2025 è l’anno entro cui dovrebbe tenersi una assemblea costituente per la nuova Europa.

In alcune interviste Varoufakis individua nella “tempesta perfetta” del 2015 il momento deflagrante della crisi del progetto europeo: lo scontro tra il governo Tsipras e la troika, la questione dei migranti, l’assenza di una politica estera europea relativamente al Nord Africa, alla Siria, all’Ucraina.

Per fermare la disintegrazione della Ue bisogna eliminare i fattori che la stanno determinando: non si tratta di chiedere “flessibilità” come fa il capo del governo italiano Renzi, cioè di non seguire le regole, ma di reinterpretare radicalmente le regole sul debito, sul sistema bancario, sulle migrazioni e così via.

Come primo atto, su cui il movimento costruirà la sua prima campagna, il DiEM chiederà ai Presidenti dell’Eurogruppo, del Consiglio europeo e della Bce di consentire lo streaming delle loro riunioni. Accanto al tema della “trasparenza” sono state individuate altre aree tematiche su cui organizzare dei gruppi di lavoro: il progetto di un Green New Deal, le questioni finanziarie, il nodo delle migrazioni e dei confini, la proposta di una Costituzione europea democratica.

 

 

 

17/02/2016
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