Viaggio tra i braccianti di Canelli

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Alle sei di mattina le strade di Canelli, piccolo comune dell’astigiano, si riempiono di lavoratori con sacchetti di plastica in mano. Camminano ai bordi della provinciale uscendo dalla boscaglia e si dirigono tutti verso la stessa meta: piazza dell’Unione Europea. Qui, ogni mattina, si svolge lo stesso rituale: i “caporali” delle cooperative “senza terra” scandiscono ad alta voce i nomi dei propri lavoratori. Una volta fatto l’appello, i braccianti salgono rapidamente su furgoni malmessi per andare a lavorare nelle vigne. Così avviene la vendemmia nelle terre del moscato, patrimonio Mondiale dell’Unesco.

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Stefan ha cinquant’anni e, dal 2008, ogni estate, con il suo Ford malandato compie il lungo viaggio dalla Bulgaria a Canelli per partecipare alla vendemmia. “Quello che guadagno qui in un mese mi permette di andare avanti sei mesi nel mio paese” racconta il lavoratore mostrando il contratto d’assunzione. Due pagine con i propri dati anagrafici e l’assunzione per 5 giornate lavorative: nessuna firma in calce né timbri del datore di lavoro. “L’hai mai visto un contratto senza la firma del titolare? – chiede in modo beffardo Stefan – ci assumono per cinque giornate lavorative, ma in realtà noi siamo impiegati per trenta giorni: gli altri 25 giorni vengono pagati fuori dalla busta”. Le paghe si aggirano intorno ai 5 euro all’ora, una cifra inferiore alla soglia prevista dal contratto nazionale di categoria, e vengono consegnate a fine giornata nelle mani dei lavoratori. “In queste zone le aziende agricole si rivolgono alle cooperative “senza terra” per avere manodopera a basso costo – spiega  Paolo Capra, segretario della Flai Cgil di Asti – si tratta di cooperative che non possiedono ettari di terreno, ma si limitano a fornire alle aziende agricole forza lavoro”. Sono state fondate nel corso degli anni dai macedoni che oggi sono diventati dei piccoli “padroncini” e gestiscono la forza di lavoro bulgara. “Spesso non ci sono contratti, oppure ci sono ma prevedono meno della metà delle giornate effettive di lavoro” conclude il sindacalista che insieme ai suoi compagni e ai ragazzi di Carovane Migranti ha girato per le vigne incontrando i braccianti e scovando i loro rifugi.

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Hanno costruito capanni di fortuna sulle rive del fiume Belbo e tra i boschi di Canelli. Un telo di cerata come tetto, un materasso sfondato appoggiato sul terreno, un’immagine sacra vicino ad un pezzo di vetro usato come specchio. Così vivono i braccianti dell’uva di Canelli durante i giorni della vendemmia. Da quando il sindaco Marco Gabusiespressione di una lista civica vicina a Lega Nord e Forza Italia – ha scelto di usare il “pugno di ferro” vietando loro di accamparsi nell’area industriale della città così come avveniva negli anni scorsi, i lavoratori hanno dovuto attrezzarsi in altro modo. In alcuni casi, il datore di lavoro garantisce l’alloggio in accordo con i lavoratori che vengono stipati in cascine abbandonate. Solamente una ventina hanno trovato rifugio nel centro Caritas che ha aperto le proprie porte in occasione della vendemmia. La maggior parte però si è dovuta accampare in mezzo ai boschi, mentre solo i più “fortunati” come Stefan hanno la possibilità di dormire nel retro del proprio furgone: “Io e mia moglie dormiamo dentro al furgone per trenta giorni – racconta ancora il lavoratore bulgaro mostrando il retro del proprio furgone adattato a casa – così vivono solo gli animali”. Dopo la vendemmia Stefan tornerà in Bulgaria per poi scendere di nuovo in Italia a Rosarno per la raccolta delle arance. “Qui è peggio di Rosarno – racconta il bracciante – là almeno ci danno un tetto per dormire”.

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Guarda il reportage pubblicato su ilfattoquotidiano.it

Asti, viaggio fra le colline del Moscato fra lavoro nero, braccianti stranieri e turni massacranti

29/09/2015
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