Una botta e via

2315-04-800

Il pullman, come mezzo di trasporto, ha trasportato anche rivoluzioni. Si pensi al pullman sul quale Rosa Parks decise di non alzarsi, in quella sera del 1955 a Montgomery, era ingiusto cedere il posto per questioni di pelle e il suo rifiuto fu tassello importante di un cambiamento epocale, in America e nel mondo.
Come Rosa, Stefano Sechi, ventunenne torinese, venerdì sera scorso si trovava su un pullman e lì ha subito un gravissimo abuso, per il solo fatto di essere omosessuale. Come Rosa, Stefano ha deciso di non incassare, di reagire, di tirare fuori il suo Pride, uno tra i più belli, quello di essere semplicemente se stessi. Perché sì, non ci si sveglia un bel giorno e si è neri o omosessuali, lo si è e basta. Stefano su quel pullman venerdì sera si è sentito rivolgere una domanda irriverente, a dir poco,  “Sei ricchione?” e ha risposto. Il suo “” gli è costato un pugno, un pugno codardo, sferrato poco prima di scendere dal bus da chi aveva ricevuto la conferma sperata.
Tornato a casa è stato incoraggiato dalla madre a denunciare l’accaduto e ha ricevuto la solidarietà di tanti, dalle istituzioni a tanti ragazzi che quel coraggio di denunciare non l’hanno avuto. Il coraggio di Stefano è doppio, ha denunciato un’aggressione e ha “denunciato” se stesso. Finché infatti l’omosessualità verrà culturalmente concepita come colpa e vergogna, il passo più difficile sarà trovare quel Pride di essere sé stessi, prima di tutto. Prima ancora di essere accettati dalla propria famiglia, dai propri amici, dai propri colleghi, dalla società, perché ancora di accettazione si parla.
Nessuno, tranne un ragazzo e l’amico che si trovava con lui, ha aiutato Stefano su quel pullman. Nessuno ha espresso solidarietà. Per fortuna la denuncia pubblica dell’accaduto ha mostrato una Torino indignata e colpita, solidale e pronta a reagire.
Stefano ha avuto il coraggio di farsi bandiera di una lotta, ancora lunga da vincere, noi troviamo il coraggio di correggerci, di cambiarci, prima di tutto cambiando le parole che utilizziamo. Pensiamoci, prima di dare, anche solo per ridere o come nomignolo , del “ricchione” a un nostro amico. Perché se lo diciamo, è per dare una connotazione, anche solo per scherzo, negativa a una persona, è la nostra cultura ad avercelo insegnato.
Pensiamoci perché qualcuno “ricchione” lo è e risponde “si” a un ragazzo che suo amico non è e lo sta ferendo su un pullman. Troviamolo questo coraggio, per Stefano, per chi prima e dopo di lui, ha lottato e lotterà. Per chi non ha la forza di lottare, come i tanti che hanno scritto a Stefano, confessandogli di essere state vittime a loro volta di violenza fisica e verbale.
Non sono stati ancora identificati gli aggressori di Stefano, il ragazzo che ha sferrato il pugno, infatti, non era solo, speriamo rimanga invece il solo a ritenere l’omosessualità una colpa da punire.
17/03/2015
Articolo di