Uganda

Miriam D’Elia è un’amica che alcuni di noi conoscono bene.

Miriam è da qualche tempo in Uganda e ci ha inviato privatamente alcune riflessioni sulla sua esperienza. Le abbiamo chiesto di condividerle sul nostro sito. Grazie Miriam perché ci aiuti ad allargare gli orizzonti e a guardare un po’ più in là del nostro naso.

Enzo

 

mercato kampala

 

Da Kampala. 

In lingua Luganda “Kasozi ka Impala” o “collina delle antilopi”. 

Questo perchè i Re che vivevano sulle colline di Kampala allevavano le antilopi intorno ai loro palazzi. 

 

“Decine di milioni di persone che hanno abbandonato la campagna affollando le città mostruosamente espanse, senza però trovarvi né un proprio posto né un un’occupazione precisa.

In Uganda le chiamano bayaye.  Si notano immediatamente poiché sono loro a formare la folla cittadina, così diversa da quella europea.

In Europa di solito si sta in strada per recarsi da qualche parte: la folla segue una sua direzione, un suo ritmo, spesso caratterizzato dalla fretta.

Nelle città africane solo una parte delle gente segue questo comportamento: gli altri non vanno da nessuna parte, non hanno dove andare né perché.

Ciondolano, si spostano seguendo l’ombra, stanno a guardare, sonnecchiano. Non hanno niente da fare, nessuno che li aspetti.

Il più delle volte hanno  fame. Il minimo incidente stradale, una lite, una rissa, l’inseguimento di un ladro li fa accorrere a frotte, perché questi oziosi curiosi di tutto, che non si sa che cosa aspettino né di che vivano, sono ovunque…” (Ebano, Ryszard Kapuscinski)

E’ proprio questa la sensazione principale che non smetto di provare da quando sono arrivata.

Ogni mattina, ogni sera, ogni giorno, c’è sempre qualcuno che cammina ai bordi delle strade. Cammina, cammina, cammina…..

E ogni volta mi chiedo dove tutta questa gente stia andando. Sì, c’è qualcuno che va al lavoro, qualcuno che va a scuola, ma tutti gli altri?

Quelli che stanno fermi in un angolo per tutto il giorno? Tutte le donne che camminano con le ceste di banane in testa?

Tutti i bambini che sono per strada e che chiaramente non stanno andando a scuola?

Benvenuta a Kampala! Qui si cammina!

Una città colorata, luminosa, ma anche contraddittoria ed enigmatica.

E’ una città piena di traffico, di polvere, di inquinamento ma che riesce a dare il buongiorno ai suoi abitanti con un cielo azzurro e limpido, che io ho visto solamente nelle nostre montagne.

E’ una città divisa in due, i ricchi e i poveri. I primi in quantità decisamente minore dei secondi.

Non ci sono sfumature in mezzo. Kampala ha sette colline (Old Kampala, Makerere, Nakasero, Kololo, Rubaga, Namirembe, Kibuli).

Sulla sommità ci stanno i ricchi, compresi gli occidentali, come per guardarsi da una cima all’altra, come per farsi l’occhiolino e ricordarsi quanto siano ricchi.

Sotto, in basso, ci sono tutti gli altri….quelli che vivono in baracche, case fatiscenti, capanne di lamiera.

Qui ci lavorano, ci mangiano e ci dormono.

E’ una città che disprezza gli omosessuali, ma che considera propri fratelli coloro che arrivano dal Kenia, dal Burundi, dal Ruanda, dal Congo, dalla Tanzania, e coloro che chiedono rifugio qui.

E’ una città figlia del colonialismo, che ancora conserva e fa vedere il potere coloniale; ma è anche una città tradizionale, con mercati, oggetti, vestiti  e comportamenti tipicamente africani…

E’ una Repubblica (l’intera Uganda), ma qui a Kampala ci sono ancora i segni di un regno antico e potete, quello del Buganda.. che di fatto esiste ancora, ma ha solo poteri rappresentativi.

E io Muzungu (cioè “senza pelle” in swahili)!… se per caso me lo dimenticassi che sono bianca, c’è sempre qualcuno che me lo ricorda, che così mi saluta “Ehi Muzungu!” “Muzungu, you need a

boda?”, ecc.

Muzungu nell’abbigliamento, nella ricchezza, nella pelle, nella zanzariera del letto, nello spray contro le zanzare, nella lingua…

Ma soprattutto dentro di me, quando mi guardo attorno e penso a quanti muzungu, colonialisti, missionari, esploratori, antropologi, Ong, aiuti umanitari abbiano negli anni passati plasmato questo continente.

Per il resto sto bene, mi sto piano piano ambientando. Vivo in un ostello circondato da baracche, a volte anche da capre, da venditori di cibo di strada e da negozietti vendi-tutto.

Ho due amiche dai nomi improponibili: Happy da Arusha (Tanzania) e Imy (ugandese) che studiano giornalismo e che mi fanno sbellicare dalle risate.

Un amico antropologo e sua moglie che mi trattano comeuna sorella. Mangio riso, carne, banane in tutte le salse e chapati.

Faccio lunghe camminate anche io, ai bordi delle strade, rischiando di essere presa sotto da qualche boda boda.

Cerco di preparare la mia ricerca, contattando l’UNHCR e altre due associazioni congolesi..mentre al confine con il Congo continuano a scappare migliaia di persone..

Vado in giro con la torcia perché è da tre giorni che Kampala è senza elettricità.

Tutto questo per dirvi quanto mi mancate…ma anche qui mancano tante cose!

Perciò, nella mancanza, io e questa città ci completiamo.

 

24/12/2013
Articolo di