Ti guardo

Armando (Alfredo Castro) ha un’attività di produzione di protesi dentarie a Caracas. E’ un uomo solo, ha una sorella che è sposata e ha un figlio, oltre un padre ricomparso in città, di cui non si sa molto, salvo intuire l’odio profondo di Armando nei suoi confronti. La sua vita è monotona, a volte nel tempo libero adesca ragazzi per strada e, una volta portati a casa, li paga perchè si spoglino e soddisfino il suo piacere voyeuristico. Uno di questi, Elder (Luis Silva), lo aggredisce lasciandolo privo di sensi, dopo avergli dato del “frocio”, e scappa con il portafoglio. Armando torna a cercarlo nei giorni successivi, ma non per riavere i suoi soldi. All’inizio diffidente, Elder comincia progressivamente ad accettare Armando nella sua vita: una vita fatta di piccoli furti, risse e un padre in galera. Tra i due comincia un rapporto ambiguo e particolare, fatto di allontanamenti e forzature, vicinanze e generosità. Forse.

Più la storia prosegue e più si intuisce che tra Armando e Elder, c’è qualcosa che supera l’attrazione fisica o il desiderio sessuale: qualcosa che ha a che fare con il senso di colpa e l’espiazione, con le figure paterne (per entrambi i protagonisti assenti, anche se per motivi diversi), ma soprattutto con i rapporti di potere, con la degenerazione degli equilibri di una relazione (a qualunque livello), dove non si capisce più chi è vittima e chi è carnefice, quando c’è pietà o vero affetto, perversione o sentimenti sinceri, sfruttamento o accettazione dello stesso.

Ma una dinamica del genere non può che avere esiti drammatici nella vicenda dei due protagonisti.

Al suo esordio sul grande schermo, Lorenzo Vigas firma una pellicola di rara intensità: una sceneggiatura di notevole tensione narrativa (fatta di omissioni, dissolvenze, dialoghi lasciati cadere, inquadrature laterali che “spiano” i protagonisti). Sullo sfondo il tema del machismo sudamericano e di una società che in pubblico non accetta i diversi.

Direzione degli attori impeccabile, con un Alfredo Castro dallo sguardo dolente e ossessivo, pochè battute e una grande presenza scenica, e un Luis Silva, perfetto nel suo vitalismo confuso e violento.

Viscerale e amarissimo, brutale e sincero, pieno di finezze e ambiguità.

Leone d’oro a Venezia 2015.

24/01/2016
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