Terraferma. A seconda dei punti di vista

 

Può un’isola essere la terraferma o no? Oppure è comunque la condizione precaria di chi rimane in balìà delle onde, con il mare intorno, ma non in mezzo al mare? Emanuele Crialese, regista italiano, emerso come un’anomalia negli ultimi anni, ha firmato una pellicola che ha vinto il premio speciale della giuria, allo scorsoFestival di Venezia.

 

Ambientato in un’imprecisata isola del Mediterraneo, incentrato sul giovane protagonista Filippo, ventenne acerbo e in cerca di un posto nel mondo, e la sua famiglia: suo nonno pescatore, la madre (il padre è morto in mare) e lo zio (un odioso Beppe Fiorello). Filippo fa il pescatore come il nonno, sua madre vorrebbe che il suocero e il figlio vendessero la vecchia barca e si lanciassero sul turismo, come fa già lo zio. L’arrivo di un gommone di disperati africani, alcuni dei quali tratti in salvo da Filippo e il nonno, modifica gli equilibri dell’isola: i pescatori iniziano a chiedersi se violare la legge dell’uomo (la Bossi-Fini?) sia accettabile, per non violare la legge del mare, più antica e rispettata da sempre, quella per cui non si lascia in pericolo qualcuno tra le onde. La famiglia di Filippo, divisa da punti di vista differenti, si contorce tra contraddizioni e tenerezze, soprattutto dopo che la donna africana che viene nascosta in casa, dopo il salvataggio, partorisce una bimba.

 

Tra sequenze ora visionarie e quasi crudeli (la barca dei turisti che balla sulle note di “Maracaibo”), ora di feroce realismo (l’arrivo dei clandestini sulla spiaggia dei turisti, due momenti in mare, di cui uno più violento), il film procede senza giudicare, con finale sospeso e allegorico.

 

Merito a Crialese, certamente, di affrontare un tema importante e attualissimo con efficacia e poesia. Forse un po’ lento nella progressione, ma è un difetto che si perdona nel complesso. Anche perchè ci fa tornare, come ai protagonisti della storia, un po’ meno sicuri alle nostre tiepide case.

 

 

12/10/2011
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