Siria: il racconto delle violenze attraverso il web

Di Carolina Scarrone
Ali Yoshaa, ventisettenne, nato e cresciuto in Siria, è di orientamento religioso islamico. Si è da pochi anni laureato in ingegneria e, attualmente, lavora presso un ufficio in loco.

Decide di rendere pubblica la sua storia in un’intervista per denunciare le persecuzioni e il terrore che lo stato islamico cagiona ai cittadini siriani. Lo fa nel nome di una Siria piegata in due dal dolore e dalla sofferenza, nel nome di una Siria macchiata dagli oltraggi di una minoranza estremista, una Siria che ha tanto da offrire, ma che è ridotta a poche macerie.

 

La guerra, che ormai è in corso da sei anni, lo ha fatto crescere nel terrore e nell’incertezza di un possibile domani; si è più volte trasferito per sfuggire ai bombardamenti e alle guerriglie interne. Tre anni fa è stata l’ultima volta che ha trasferito la sua residenza, separandosi definitivamente dalla sua famiglia.

Ali è profondamente contrario all’islamismo concepito come tendenza terroristica, la sua religione, ha dichiarato, è ben altro; è fondata sull’amore e sulla pace, non sulla guerra e sul terrore.

Ali non vuole lasciare il suo paese e ha deciso di raccontare ciò che i suoi occhi vedono, e lo fa attraverso le possibilità del web.

Ha cominciato a farlo creando dei blog su Internet e sui social network più usati, nei quali apre accese proteste contro gli atti terroristici e denuncia le carneficine che vengono compiute nel nome di un dio che porta lo stesso nome del suo ma non gli stessi ideali.

Questa sua mossa ha subito attirato l’attenzione di molte cellule terroristiche che quindi lo hanno minacciato per spingerlo a chiuderli tutti. Lui non ha ceduto alle minacce che quindi son diventate sempre più prementi, tanto da bloccargli quelli ai quali son riusciti ad avere accesso.

Ali non si è arreso: quelli che si è visto chiudere, li ha riaperti e non solo, né ha creati di nuovi, più ricchi e dettagliati di prima.

A questo punto delle cellule islamiche hanno tagliato l’elettricità nella sua zona per cercare di isolarlo, l’hanno monitorato e seguito i suoi spostamenti: ha vissuto settimane nel buio e nel terrore, con precarietà di alimenti e di acqua. Più volte hanno cercato di eliminarlo: una prima volta lo hanno tenuto come ostaggio su un pullman insieme ad un’altra ventina di persone; è riuscito a salvarsi grazie al pronto intervento dei copri della polizia locale; ha dichiarato di aver visto la morte nei suoi occhi.

 

Una seconda volta è stato seguito mentre andava a sostenere un esame di laurea, gli hanno sparato ma si è salvato per miracolo; da quel momento si è trasferito.

Adesso è costretto ad agire con molta più discrezione ma non si è arreso alle pesanti intimidazioni che ha ricevuto.

La sua testimonianza ci deve far riflettere sul contesto siriano, sulla considerazione che, purtroppo, i media e alcune formazioni politiche hanno del mondo islamismo.

Questo ragazzo usa il web e la sua testimonianza battendosi  per qualcosa in cui crede: l’umanità.

“I belive in humans, I belive in humanity”: Questo è il messaggio che Ali vuole lasciare al mondo, un messaggio, che a costo della propria vita, vuole che arrivi a tutti noi.

 

22/01/2017
Articolo di