Silenzio

Le nuvole quando arrivano, arrivano veloci qui a Pasto. Sono basse e fanno come da cappellino a questa città piccola ma brulicante di vita, di colori, di musica, di facce scure e di monos (così sono chiamati i più chiari,un po’ come il nostro “biondo”).

 

Quella che ho imparato a chiamare casa, mi offre una vista privilegiata sulla Ciudad Sorpresa. Ogni mattina posso vedere il verde delle montagne che la circondano come ad abbracciarla, ed ogni sera una a una, come le stelle di un piccolo cielo, vedo le lucine delle case accendersi, creare una macchia di colore nel buio che arriva presto.

 

C’è un silenzio strano in questo giorno di fine vacanze, anche se silenzio non è. Le moto sfrecciano nella calle 18, i clacson dei taxi suonano forte, i cani abbaiano e le note della sala prove di musica cristiana si ripetono, perché, appunto, sono prove.

Ma lo chiamo silenzio perché fino a pochi giorni fa, questa ciudad è stata davvero una sorpresa, una rumorosissima e graditissima sorpresa.

 

Si è concluso il 6 di gennaio il Carnaval de Blancos y Negros, una tradizione con più di due secoli di storia, che rende Pasto scenario di uno dei Patrimoni Immateriali dell’Umanità.

 

 

 

Mentre da noi, salvo rare eccezioni, il Carnevale si sta spegnendo, qui è ciò che mantiene viva la città, la sua cultura, il suo essere meta turistica e meta di ritorno, per chi Pasto l’ha lasciata.

 

Dal 3 al 6, la festa non ha soste e nessuno è escluso dal viverla, sono infatti “dias civicos” , il che intende che gli uffici sono chiusi e soprattutto che si può tornare a essere bambini.

 

Per vivere e sopravvivere il/al carnevale bisogna munirsi di un kit ad hoc, reperibile in qualsiasi angolo delle piccole vie cittadine :

 

-spuma e talco da lanciare ogni 5 secondi per difendersi dagli “amichevoli” attacchi dei concittadini o per attaccare (perchè si, dopo poco si diventa parte del gioco)

-occhiali da sole, o meglio ancora maschera da snowboard, per poter continuare a vedere anche dopo i giorni di festa

-poncho, reperibile in tutte le taglie e colori. La schiuma infatti, non solo macchia ma bagna, il poncho è un ottimo copricapo antibrividi e salva felpe

-birra, aguardiente, rum e patatine, un banchetto continuo, alla faccia della dieta bilanciata

-crema solare, il sole picchia forte e uno strato il più sulla faccia aiuta a non ustionarsi soprattutto per via del talco

 

Una volta prese tutte queste precauzioni (indicate anche sul sito nazionale) è possibile immergersi tra le sfilate, nei concerti, nelle feste e godersi uno spettacolo non indifferente.

 

Laddove solitamente i taxi, le moto e i pullman rossi la fanno da padroni, una marea di coloratissimi e orgogliosissimi pastusi sfila per 3 giorni. Ci si mette poco a imparare i cori con cui rispondere alle grida dei passanti in maschera:

“Que viva Pasto carajo !” – “Que viva!”

“Cuy!” – “Sabor”

“E- e – e – eso!”

 

L’orgoglio di chi sfila e di chi osserva si intuisce da queste poche parole chiave, è strano sentire una bambina o un vecchietto urlare “Viva Pasto, cazzo!” , ma questo è. E’ l’orgoglio di chi fa parte di una Colombia diversa dal resto della nazione, una Colombia andina e isolata, con più natura che esseri umani, di chi fa parte di quell’unico pezzettino che voleva restare con gli spagnoli invasori, diventando per questo lo zimbello del Paese, argomento di barzellette e insulti.

 

E che ridere sapere di essere finiti a “Cuylandia”, la terra del Cuy, il cricetone piatto-tipico della regione, altro argomento di orgoglio, da gridare nelle sfilate.

Per quattro giorni abbiamo urlato “e-e-e eso!” , nulla di più azzeccato quando non hai le parole, basta un “questo!” per definire quello che ti circonda.

 

Gli abiti, le canzoni, le leggende, le carrozze, fanno venire voglia di approfondire una cultura gigantesca, che mette le radici in questa terra, come gli alberi e i frutti che la natura gli ha regalato, il carnevale, nel piccolo dei suoi 3 giorni, è un ottimo modo per immergersi.

 

Non solo sfilate, ma tanti e bei concerti. La cosa che più colpisce dei musicisti locali è la stupefacente capacità di suonare a turno quasi tutti gli strumenti sui palchi, in una canzone il flauto e in quella dopo la chitarra, per esempio.

 

“De blancos y negros”, la Colombia è anche questo, e Pasto, pur non essendo quasi popolata da afro-colombiani, ricorda a tutti un passato orribile, fatto di conquista e di schiavitù.

Gli schiavi africani, portati come merce fino alle coste caraibiche della Colombia, venivano poi spostati nelle varie zone del territorio nazionale, fino al sud del paese, fino a qui, in Nariño.

 

La maggior parte dei discenti dei primi afro-colombiani popola la zona costiera della regione, ma il capoluogo del dipartimento, Pasto appunto, attraverso il carnevale, ricorda la loro presenza massiccia in quanto schiavi.

 

E siccome il carnevale è il rovesciamento del mondo “normale”, il gioco era questo : i bianchi venivano colorati di nero e i neri di bianco, un inversione dei ruoli, anche solo per pochi giorni, anche solo per illudersi di essere davvero tutti uguali.

 

In una Colombia ancora fortemente razzista, è un importante grido quello che Pasto lancia e non solo per scherzo, come un tempo.

 

Ricoperti di schiuma è difficile rendersi conto dell’importanza della cosa, ma riflettendo a freddo, nel silenzio della terrazza e di una Pasto che torna alla normalità, mi rendo conto di aver respirato molto più che talco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

13/01/2016
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