Rolling Stones: il concerto a Roma

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La scorsa domenica, il 22 giugno, i Rolling Stones si sono esibiti al Circo Massimo di Roma in un concerto a dir poco spettacolare. Molti di Acmos erano presenti a questo appuntamento di storia della musica. Tra di loro Salvatore Renna, detto Totò, che ci ha raccontato questo live

Quasi Famosi, film di Cameron Crowe del 2000, racconta la storia di un quindicenne mandato come giornalista in tour con una band rock nel pieno degli anni ’70. La band sembra però perdere il controllo ed essere troppo inebriata dal successo, complice anche un manager non eccezionale. La casa discografica manda allora un altro manager, più bravo e con più esperienza, per salvare la situazione. Arriva nel camerino, si presenta e parla col gruppo per convincerlo che devono cambiare, perché il loro momento sta arrivando e non possono sprecarlo. Per convincerli dice loro: “Se credete che Mick Jagger starà ancora a fare la rockstar a cinquant’anni, bè, vi sbagliate di grosso”.

La battuta non è casuale: negli anni ’70 si credeva davvero che Mick Jagger, e con lui il resto degli Stones, non sarebbe arrivato a 50 anni, per lo meno non continuando a fare quel che facevano. I gufi dell’epoca hanno però dovuto ricredersi nel corso degli anni, e se qualcuno era ancora convinto di qualcosa del genere la scorsa settimana è stato definitivamente smentito. Perché il punto delle più di due ore di concerto davanti a 70.000 persone al Circo Massimo è proprio questo: alla veneranda età di 70 anni i Rolling Stones hanno offerto un grandissimo spettacolo. Oltre al palco enorme, oltre ai fuochi d’artificio finali e oltre la splendida cornice, c’è stata la sostanza di un concerto degli Stones: il rock’n’roll. Parlando di un gruppo come loro, insieme da 50 anni, la cosa potrebbe apparir scontata ma non lo è affatto: dopo tutti quegli anni le tournée rischiano di diventare una noiosa routine e la tentazione di “distrarre dalla musica” con mirabolanti effetti speciali è sempre dietro l’angolo (come molte grandi produzioni live di questi ultimi anni testimoniano). Non per loro, che hanno mostrato quello che ci si aspettava: la sezione ritmica di Charlie Watts e Darryl Jones precisa e potente, i riff di Keith Richards sparati ad un volume esagerato, la presenza scenica di Ronnie Wood e la straripante energia di Mick Jagger, vero direttore d’orchestra della band e tramite immediato col pubblico. Basti dire che le prime tre canzoni sono state Jumpin’ jack flash, Let’s spend the nigh together e It’s only rock’n’roll (but I like it): dopo un solo quarto d’ora il pubblico aveva capito benissimo in che stato di forma fossero le pietre rotolanti. Dopo c’è stato ancora il tempo per una commovente e inaspettata Streets of love, per Respectable (scelta dal pubblico e suonata insieme a John Mayer, che dopo aver aperto il concerto ha infiammato la canzone con la sua chitarra), per due pezzi cantati da Keith Richards (You got the silver e Can’t be seen), per la reunion con Mick Taylor che è stato il protaognista di Midnight Rambler. Dopo tutto questo è poi arrivato il gran finale: Start me up, Sympathy for the devil, Brown sugar, You can’t always get what you want e (I can’t get no) Satisfaction, in sequenza. I fan degli Stones capiranno quanta forza sprigioni ognuna di queste canzoni e quanta pura gioia possano far nascere se suonate così, una dopo l’altra; chi non li conosce bene può cominciare proprio da questi pezzi eterni e comprenderà immediatamente perché questi vecchietti sono ancora così adorati.

Nell’altalena di emozioni e cambi di ritmo del concerto, una cosa è rimasta costante: la meraviglia. Si è stati sognanti a bocca aperta verso il palco per due motivi, credo. Il primo è che nessuno come gli Stones ha incarnato l’idea del rock’n’roll. Tutto il successo, gli eccessi, le liti, gli alti e bassi e i guai che qualunque gruppo rock ha attraversato sono stati vissuti in primis dagli Stones, che hanno trasformato tutto ciò nella comune idea di che cosa voglia dire il rock: vedere quell’idea materializzarsi e suonar lì davanti non è stata cosa da poco. La seconda causa di tutta quella meraviglia è stata accorgersi di quanto loro stessi si stessero divertendo: sorrisi, scenette, occhiolini e sguardi complici li hanno fatti assomigliare a dei giovani entusiasti, e per il pubblico non c’è niente di meglio. Alla fine non so per quante volte Mick Jagger e tutto il pubblico abbiano ripetuto “I can’t get no satisfaction”, ma sono certo che tutti, lui e noi, stavamo mentendo: eravamo tutti felicissimi.

29/06/2014
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