Virginio Rognoni sulla lotta alla mafia

una foto di virginio rognoni

 

La lotta contro la mafia è stata più difficile di quella contro il terrorismo”. Con queste parole l’ex Ministro dell’Interno Virginio Rognoni ha aperto l’incontro con gli studenti del corso di perfezionamento in scenari internazionali della criminalità organizzato dalla Statale di Milano.

 

Le differenze tra mafia e terrorismo

“Il terrorista è nemico dichiarato dello Stato mentre il mafioso cerca di venire a patti con lo Stato. Le società mafiose hanno bisogno di interloquire con il potere in qualunque comunità si manifesta: politica o imprenditoriale. Dove c’è potere, l’organizzazione criminale tenta di attaccare l’anello più debole della catena del potere per raggiungere i propri obiettivi”.

 

La storia politica di Virginio Rognoni

Da Ministro dell’Interno, Rognoni, ha vissuto gli anni immediatamente successivi all’assassinio di Moro per poi occuparsi da Ministro della Giustizia del contrasto alla criminalità organizzata. Ed è proprio a fine anni Settanta, quando guidava il Viminale, che trovò un valido alleato nel generale Dalla Chiesa. Entrambi erano convinti che per sconfiggere il terrorismo occorresse agire su due fronti: “Da un lato era necessario dimostrare ai terroristi che lo Stato si stava muovendo per generare un senso di paura ed ansia, dall’altro occorreva tranquillizzare la società civile”. Un legame quello tra Rognoni e Dalla Chiesa che proseguì anche negli anni Ottanta quando la nuova minaccia per l’Italia aveva il volto della criminalità organizzata. “L’idea che l’antimafia non possa essere ricondotta al solo contrasto delle forze dell’ordine era il convincimento mio e di Dalla Chiesa. Contro la mafia è tutta la società che si deve muovere dai cittadini alle istituzioni. Se la vittoria contro la mafia è la vittoria delle istituzioni occorre che le istituzioni funzionino. Se i diritti vengono rispettati, la mafia viene colpita. La mafia vive del silenzio della gente e delle città”.

 

La legge Rognoni – La Torre

Accanto alla società civile occorreva però dare un segnale anche da un punto di vista legislativo: un percorso tutt’altro che semplice. Furono necessari due omicidi prima di arrivare all’introduzione nel 1982 nell’ordinamento giuridico del reato di associazione mafiosa e dello strumento della confisca dei beni. “Ci furono molte resistenze a questa norma – ricorda il cofirmatario della Rognoni-La Torre – poiché i rapporti tra parti della politica e la mafia affondavano le radici nel tempo e cercarono in tutti i modi di ostacolarla La lotta contro la mafia era come una partita che alcuni ritenevano di doverla giocare e vincere, mentre altri ritenevano che un pareggio fosse abbastanza. Altri ancora ritenevano che era una partita amichevole”. Una sensazione che si ripropose negli anni del maxi processo: “Quell’aula bunker di Palermo è stata difesa dal sottoscritto e dalla magistrata Liliana Ferraro con forza Abbiamo difeso questo processo poiché un’ipotetica sconfitta sarebbe stata irreparabile. C’è stato il pericolo che non arrivasse a termine”. 

20/03/2014
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