I rimborsi elettorali

 

Da Lusi a Belsito, dalla Giunta della Regione Lombardia alla malasanità pugliese, gli scandali in politica si moltiplicano e confermano quanto la “casta” sia confinata al di là del mondo in cui vive il resto degli italiani. Senza andare nei particolari, basterebbe dire che a governare il nostro Paese è un’equipe di tecnici, non eletti. La domanda di amici stranieri fa sorridere: “cosa fanno quelle 945 persone tra Montecitorio e Palazzo Madama, con stipendi da capogiro?”. Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e terza carica dello stato ha dichiarato, il 17 aprile scorso su La Repubblica, che “ballano sul Titanic”.

 

L’espressione in questi giorni sulla bocca di tutti è “finanziamenti pubblici ai partiti”.

La legge fu varata nel ’74. Già allora era figlia di uno scandalo: finanziamenti in nero dall’Unione petrolifera ai partiti per vincere le elezioni. Per evitare una cosa del genere si pensò di rendere pubblico il flusso di denari utili a garantire la politica e la sua rappresentanza. L’idea sembrava sana. Oggi si è ammalata.

L’Art.49 della Costituzione spiega come i partiti siano lo strumento che permette ai cittadini di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Sono organizzazioni colletrici del pensiero di governo della popolazione e suoi rappresentanti, dovrebbero indossare la veste di “servizi” per gli abitanti. Esattamente come le associazioni no-profit del terzo settore, soggetti di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva. Più di quattro anni fa Alemanno e Di Pietro scrissero una proposta di legge che mirava a mettere sullo stesso piano le erogazioni liberali alla politica con quelle alle associazioni benefiche: cooperative sociali, associazioni di promozione sociale e di volontariato, organizzazioni non governative, ONLUS, ecc. La proposta non venne considerata dal Parlamento.

 

Per queste organizzazioni con funzioni sociali il decreto legislativo 460 del 4 dicembre ’97 stabilisce regole e agevolazioni fiscali precise. Per avere diritto alle agevolazioni le organizzazioni no-profit devono dotarsi di uno statuto registrato all’Ufficio del Registro/Atti Privati.
Lo statuto deve escludere assolutamente fini di lucro e prevedere l’uguaglianza tra i soci per diritti e doveri. È necessario inoltre redigere un rendiconto economico finanziario annuale, votato dall’Assemblea soci. Le tipologie di finanziamento previste sono l’autofinanziamento, le raccolte occasionali di fondi, donazioni, sponsorizzazioni, prestiti, finanziamenti europei. In particolare per finanziare associazioni no-profit i privati, come le imprese, possono dedurre l’erogazione in denaro o in natura per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato, nella misura massima di 70.000,00 euro annui (D. L. 35/05). In alternativa possono detrarre il 19% dell’erogazione fino ad un massimo di 2.065 euro dall’imposta lorda (D.P.R. 917/86). Calcoli., detti sgravi. Agevolazioni che invogliano i cittadini e le società a sostenere chi lavora per tenere in vita la società stessa.

 

Sgravi esistono anche nel caso dei finanziamenti ai partiti. Sgravi un po’ più gustosi: chi decide di finanziare movimenti politici gode di un “sgravi” 51 volte superiori rispetto a chi versa un contributo alle associazioni del terzo settore o alla ricerca scientifica. Chi dà 100.000 euro a un partito se ne vede tornare indietro 19 mila, perchè è prevista una detrazione del 19%, come nelle erogazioni per il sociale, ma per un tetto che arriva a 103 mila euro. Chi dona la stessa cifra alla ricerca ha uno sconto massimo di 392 euro: perchè in questo caso il tetto della detrazione è di 2065 euro. Per giunta, dal 2006, una erogazione liberale a un partito che non superi i 50.000 euro può rimanere anonima. Prima del 2006 l’anonimato era garantito sì, ma solo per donazioni che arrivavano a un massimo di 2500 euro.

 

Dal ’93, a seguito di Mani pulite e del referendum in cui 34 milioni di italiani (ignorati) chiesero di cambiare metodo per finanziare i partiti, i finanziamenti pubblici cambiarono nome e divennero “rimborsi elettorali”. Oggi trasformatisi in erogazioni forfettarie, decise solo in base al “piazzamento” ottenuto alle elezioni e non alle spese reali dei partiti. Una sorta di premio risultati, come per il campionato di calcio di serie A. Chi arriva ai primi posti accede alle competizioni che pagano di più. Cioè, le squadre forti e (già) vincenti ottengono più soldi da spendere sul mercato per rafforzarsi ulteriormente. Le formazioni politiche maggiori riescono così a garantirsi, nel più legale dei casi, la permanenza in Parlamento. In altri casi arrivano a ristrutturare la villa del segretario! Ecco perché non riusciamo a rinnovare questa classe politica. Ogni vittoria elettorale consente ai partiti di conservare il potere. Ecco perchè gli elettori non si sentono rappresentati: i partiti conservano il potere, non lo amministrano più.

22/04/2012
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