Quando la Hsbc riciclava i soldi dei narcos

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Il gruppo bancario Hsbc è uno dei colossi del sistema creditizio e finanziario internazionale ed oggi si trova al centro di uno dei più grandi casi di evasione fiscale della storia venuto a galla grazie al lavoro della rete di giornalisti Icij. Uno scandalo che rappresenta solamente l’ultimo della lista: basta pensare che la Hsbc nel 2012 ha accettato di pagare una maxisanzione di 1.9 miliardi di dollari per aver riciclato circa 9 mniliardi di dollari dei narcos messicani. Un estratto dell’inchiesta pubblicata sulla rivista Narcomafie di un anno fa racconta in profondità la storia della banca.

 

La Hsbc e l’America Latina

 

HSBC è una delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo, con oltre 2.5 trilioni di dollari in azioni, 89 milioni di clienti, 300mila impiegati, capace di generare nel 2011 oltre 22 miliardi di utili. Negli ultimi anni, il gruppo bancario ha aperto filiali in oltre 80 paesi in tutto il mondo operando in Stati dove la legislazione contro il riciclaggio sono molto deboli e le operazioni ad alto rischio di riciclaggio sono molto frequenti. In particolare il gruppo Hsbc ha iniziato ad occuparsi dell’area latino-americana negli ultimi dieci anni acquisendo e trasformando le banche locali in sue filiali. È il caso del Messico, dove la Hsbc nel novembre 2002 porta a termine l’acquisto della quinta più grande banca messicana, il Banco Internacional S.A. che apparteneva al Grupo Financiero Bital, S.A. de C.V. (Bital), per una cifra di 1.1 miliardi di dollari trasformandola nella sua filiale messicana: la Hbmx.

 

La Hbmx negli anni 2007 e 2008 è stato il più grande esportatore di dollari verso la filiale americana della Hsbc, la Hbus, con cifre che rispettivamente hanno superato i 3 e i 4 miliardi di dollari. Un flusso di dollari che ha insospettito le autorità di controllo messicane e statunitensi secondo le quali Hsbc, attraverso la sua filiale messicana Hbmx, avrebbe favorito il riciclaggio di oltre 7 miliardi di dollari dei cartelli messicani grazie alla mancata applicazione delle misure antiriciclaggio (Aml). Dal 2002 al 2009, il gruppo Hsbc e la Hbus hanno considerato il Messico come un paese “a basso rischio di riciclaggio” permettendo ai narcos di depositare i proventi delle attività illegali attraverso i rapporti con le casas de cambio messicane come la Casa de Cambio Puebla, già al centro di numerosi altri scandali in passato. Una mancanza che si è trascinata negli anni nonostante i numerosi richiami dell’autorità e che è stata punita con una sentenza storica che ha sanzionato la banca al pagamento di 1.9 miliardi di dollari, una cifra record ma che equivale a sole 5 settimane di profitti per la banca. Nessuna condanna penale è stata inflitta ai dirigenti della banca, costretti alle dimissioni nell’estate 2012, tra cui l’ex-dirigente Sandy Flockart e di David Bagley, responsabile Compliance del gruppo dal 2002. L’accusa principale è che i dirigenti della Hbmx erano a conoscenza dei rischi legati ai conti messicani, ma non hanno agito per evitare il riciclaggio; gli scambi delle mail tra i dirigenti della banca, contenuti nelle oltre 500 pagine dell’inchiesta del Senato Americano, testimoniano la presenza di un forte grado di consapevolezza di tale rischio. In seguito allo scandalo, l’attuale direttore del gruppo bancario, in una lettera ai dipendenti, ha ammesso che “tra il 2004 e il 2010 le nostre misure anti riciclaggio avrebbero dovuto essere più forti e noi abbiamo fallito nel controllare transazioni inaccettabili” annunciando in seguito l’adozione di nuove misure di prevenzione “non perché i regolatori ce lo stanno chiedendo, ma perché noi lo dobbiamo domandare a noi stessi”.

 

Una frase che nei dieci anni precedenti è stata ripetuta troppo spesso dai vertici del gruppo bancario senza però trovare mai applicazione. La storia di questo gruppo bancario messicano appare già legata ad alcuni casi di riciclaggio, come quello scoperto nel 1998 grazie all’operazione sotto copertura denominata “Casablanca” condotta dagli agenti della Dea. Un evento che rappresenta solamente la punta di un iceberg caratterizzato dall’assenza di un sistema di controllo sulle “Aml compliance”.

 

 

Un debole sistema giudiziario

 

Ma le possibilità di guadagno per il gruppo Hsbc sembrano essere più grandi delle preoccupazioni riguardanti l’assenza di sistemi di controllo interno e pertanto l’operazione dell’acquisto viene finalizzata nel novembre 2002. In quel periodo la banca aveva 647 milioni di dollari in deposito bancari in Messico, 700 milioni di dollari in depositi alle Isole Cayman e 143 milioni a New York, ma secondo l’ex amministratore delegato Paul Thurston, Hbmx ha conosciuto una rapida crescita proprio negli anni successivi all’acquisizione da parte degli americani. Uno sviluppo rapido che si estende in tutto il paese, se si pensa che la Hbmx arriva ad aprire un numero di filiali superiore a quelle presenti nel Regno Unito. La Hbmx diventa il singolo ente che esporta più dollari alla Hbus, la filiale americana del gruppo Hsbc, arrivando nel 2007 a trasferire oltre 3 miliardi di dollari e, nel 2008, 4 miliardi. Il mercato messicano sembra offrire grandi vantaggi alla banca statunitense che però si trova a dover operare in un contesto dove il narcotraffico e i cartelli della droga stanno conquistando potere sia in campo politico sia in campo economico.

 

Un’influenza sempre più forte che inizia a far preoccupare anche il Dipartimento di Stato Americano. L’attenzione dunque è puntata sulle istituzioni finanziarie messicane che già nella prima metà degli anni Duemila vengono utilizzate per il riciclaggio non solo del traffico di stupefacenti, ma anche di altre attività illecite come quelle descritte nel rapporto. Gli allarmi del Dipartimento di Stato sul rischio di riciclaggio si ritrovano anche nelle relazioni degli anni successivi: in particolare nel 2006, il report si concentra sulle condizioni che favoriscono tale reato individuando in particolare la debolezza del sistema giudiziario messicano.

 

Ma gli allarmi lanciati dal Dipartimento di Stato si concretizzano anche in azioni giudiziarie che vengono portate avanti dagli inquirenti statunitensi e che coinvolgono alcune delle più grandi banche d’investimento: il 15 marzo 2007 un’operazione congiunta della Dea con le forze di polizia messicane porta a compimento il sequestro di 205 milioni di dollari e 17 milioni di pesos appartenenti ad un facoltoso cittadino messicano di origine cinese Mr Ye Gon. L’accusa è aver usato le proprie aziende farmaceutiche per importare e vendere agenti chimici ai cartelli messicani per la produzione di metanfetamine oltre a quella di riciclaggio. Mr Ye Gon era da tempo un cliente della Hmbx. I suoi depositi non era considerati ad alto rischio, nonostante le transazioni non usuali effettuate nel periodo 2003-2006, che avevano catturato l’attenzione dei vertici della banca senza però mai provocare alcuna reazione di controllo e di verifica interna sui conti.

Nessun rischio nessun controllo

Nonostante l’aumento del numero e dell’intensità degli avvisi e l’avvento dei primi procedimenti giudiziari nei confronti di altre banche che operavano nello stesso campo, dal 2002 al 2009 la Hbus ha continuato a considerare il Messico come un paese con un rischio basso di riciclaggi. Una valutazione che stando alle policy interne del gruppo Hsbc ha fatto sì che i clienti che effettuavano operazioni dal Messico non erano sottoposti a controlli approfonditi a meno di essere considerati Special Category Client (Scc), una categoria piuttosto rara nella prassi bancaria.

 

La procedura interna di valutazione del rischio dei differenti paesi appare, secondo il racconto della Commissione d’Inchiesta, superficiale e priva delle documentazione necessaria. In particolare le informazioni contenute nei report annuali non venivano, inspiegabilmente, considerate nella valutazione del punteggio dello score. Uno dei limiti principali che hanno portato alla sottovalutazione del rischio rimane pertanto interno allo stesso organismo bancario. Un’ipotesi che viene confermata da alcune mail che Susan Wright, direttrice del settore “Aml Compliance” per il gruppo Hsbc, invia a David Bagley, nel mese di maggio 2008.

 

Una lettera che dimostra come la responsabile della “Aml Compliance” del gruppo Hsbc era a conoscenza del rischio legato alle operazioni che venivano condotte dal gruppo bancario in Messico, ma non ha agito per innalzare il livello di allarme verso questo paese, se non nel febbraio 2009, quando il livello è salito improvvisamente di due gradi. Come abbiamo già introdotto in precedenza, ad un livello di rischio minore, corrisponde una minore intensità dei controlli interni sulle operazioni e sui depositi dei clienti della banca. Una condizione che inevitabilmente finisce per favorire l’afflusso di nuovi clienti attratti dalle scarse misure di prevenzione. Un’ipotesi che può essere testata anche “al negativo”, se si osservano le reazioni che hanno contraddistinto i mesi successivi all’innalzamento del livello del rischio verso il Messico. Nel giugno 2009, a soli quattro mesi di distanza da tale operazione, è la stessa Ms Wright a richiedere spiegazioni riguardo il cambiamento nella valutazione del rischio.

 

Il cambiamento che veniva auspicato già nel 2002 dagli organi competenti viene pertanto considerato dai vertici del gruppo Hsbc come “a dramatic change” e la preoccupazione principale sembra essere proprio quella di giustificare ai propri clienti le ragioni di un tale inasprimento dei controlli piuttosto che quella di pensare all’attuazione di nuove misure per impedire il riciclaggio e le transazioni sospette all’interno del gruppo bancario.

 

I sette anni di mancati controlli nel campo delle misure anti riciclaggio non hanno influito pertanto solamente sulle attività della Hbmx, ma hanno avuto pesanti ricadute in termini di rischio anche per la filiale americana, considerate le forti relazioni che intercorrevano tra le due filiali. In particolare, tra i capi d’accusa principali mossi dalla Commissione d’Inchiesta del Senato vi è il rapporto che la Hbus ha stabilito con alcuni clienti ad alto rischio, l’utilizzo di depositi offshore nelle Isole Cayman e l’acquisto di milioni di dollari in travellers cheque. Tra i clienti ad alto rischio che si sono serviti dei servizi offerti dalla Hbus, bisogna considerare le Casas de Cambio Puebla e la Sigue Corporation.

 

Le lavatrici del denaro, le Casas de Cambio

La Casa de Cambio Puebla è stata fondata nel 1985 ha operato come un servizio fino al 16 maggio 2007 quando gli Stati Uniti hanno congelato i suoi depositi presso la Wachovia Bank a Miami e a Londra con l’accusa di aver favorito il riciclaggio dei proventi dei cartelli messicani della droga. Il legame tra la casa de cambio e la Hbmx affonda le radici agli anni Ottanta con l’allora Grupo Financiero Bital. Nel 2004 la casa de cambio ha aperto dei depositi anche negli Stati Uniti, che hanno conosciuto una rapida quanto sospetta crescita fino al momento della chiusura da parte dell’autorità giudiziaria. Basti pensare che, se nel febbraio 2005, al momento dell’apertura dei conti presso la Hbus, il valore dei loro depositi era di 8 milioni di dollari, in soli due anni tale cifra è salita a 113 milioni, un incremento pari al 1.000%.

Un aumento che sembra non destare particolari preoccupazioni nei vertici dell’istituto bancario che non chiedono giustificazioni in merito. Il flusso delle rimesse dei migranti viene dunque utilizzato per mascherare il denaro illecito proveniente dal traffico di stupefacenti, anche se la giustificazione proposta dalla banca, sembrerebbe quantomeno priva di fondamento se si pensa la natura dell’incremento.

 

Ma i sospetti sulla Casa de Cambio Puebla non si limitano a questo dato: guardando la struttura societaria di questa impresa, si nota che fino al 2007 la direzione è stata affidata a Pedro Alfonso Alatorre Damy, detto “El Piri”, uomo di fiducia del Chapo Guzmàn, finito in carcere nello stesso anno. Gli inquirenti statunitenisi la colpiscono nel maggio 2007, sequestrando a Miami 11 milioni di dollari provenienti dal narcotraffico sui conti di un’altra grande banca americana, la Wachovia, che viene accusata di mancato rispetto delle norme antiriciclaggio e sanzionata con una maxi multa. Il caso finisce sulle prime pagine di tutti i giornali e viene commentato anche nelle mail dei dirigenti della Hbmx. Nonostante la decisione del dirigente Paul Thurston di chiudere i rapporti con Puebla, la Hbmx impiegherà quattro mesi per chiudere tutti i conti della Casa de cambio permettendo a questa di effettuare transazioni con la banca americana. In quell’arco di tempo, 650 transazioni sospette sono state effettuate dalla casa de cambio per un totale di 7 milioni di dollari. Con l’aumento delle rimesse dei migranti, le Casas de cambio hanno rappresentato un cliente sempre più appetibile per le grandi banche che troppo spesso hanno chiuso più di un occhio pur di concludere affari con questa.

 

Il secondo cliente ad alto rischio per la Hbus è rappresentato dalla Sigue Corporation, un’altra casa de cambio messicana particolarmente attiva nel trasferimento delle rimesse dei migranti dagli Stati Uniti al Messico. Operazioni che tra il novembre 2003 e il marzo 2005 sono state effettuate in assenza delle disposizioni previste dal Bank Secrecy Act, ovvero senza alcun controllo sulle identità dei clienti che si rivolgevano all’impresa per le proprie transazioni. Il risultato è che in questi due anni, la casa de cambio è stata utilizzata dai cartelli della droga per trasferire a proprio piacimento i proventi del narcotraffico. Ma il caso della Sigue risulta interessante ai fini dell’analisi della fase del “placement” anche per mettere in evidenza la facilità con la quale i soggetti criminali potevano avvalersi dei servizi finanziari offerti dalla Sigue in maniera del tutto indisturbata. Nel corso dell’operazione sotto copertura “High Wire” condotta dalla Dea, proprio in questo periodo, gli agenti hanno agito come se fossero dei narcotrafficanti avvicinandosi ripetutamente agli impiegati degli sportelli della Sigue chiedendo assistenza per spedire per il trasferimento dei soldi in Messico affermando chiaramente che il denaro proveniva da un traffico illecito. Nonostante la dichiarazione dell’origine illecita dei capitali, 84 operazioni sono state effettuate con successo in 59 località. Il racconto seguente contenuto nella relazione della Commissione d’Inchiesta del Senato Americano racconta i dettagli di questa operazione:

 

“Nel mese di gennaio 2005, l’agente sotto copertura entrò in una filiale di Sigue chiedendo al dipendente quanti soldi avrebbe potuto spedire a Città del Mexico senza mostrare un ID. L’impiegato rispose che avrebbe potuto inviare 700 dollari, ma non era sicuro pertanto gli suggeriva di chiamare i dirigenti. Ma l’agente rispose che non voleva attirare l’attenzione dei dirigenti e della polizia perché i soldi provenivano dal traffico di marijuana. L’impiegato iniziò a rassicurarlo dicendo di non preoccuparsi. L’agente gli domandò se poteva inviare il denaro con un nome qualsiasi e la risposta fu che l’unica cosa importante era che il destinatario della cifra conoscesse la sua identità per permettere il ritiro della somma. L’agente portò a termine l’operazione da 900 dollari e prima di salutare chiese de avrebbe potuto inviare altri diecimila dollari separandoli in piccoli account. Anche questa volta la risposta dell’impiegato fu positiva, anzi gli consigliò solamente di usare nomi differenti se avesse voluto inviare tutta la cifra nello stesso giorno”.

 

Una volta che i soldi sono entrati nel sistema finanziario ufficiale, il secondo passo che viene attuato è il cosiddetto “layering”. L’obiettivo di questa fase è quello di rendere sempre più complessa l’attività di risalire all’origine dei capitali immessi nell’economia legale attraverso l’attuazione di un’infinità di transazioni bancarie con i fondi neri. La trasformazione consiste pertanto nel realizzare numerosi movimenti multipli all’interno delle singole istituzioni o tra istituti diversi provando ad occultare sempre più l’origine delle risorse illecite uscendo fuori dal registro delle informazioni. Uno dei settori che entra in gioco in questa seconda fase è quello dei conti “off-shore” presso i cosiddetti paradisi fiscali. L’area del Caribe e di Panama è storicamente una delle aree privilegiate per coloro che intendono depositare ingenti somme di denaro per nascondere la propria origine. Scorrendo le pagine della relazione della Commissione d’Inchiesta sulla Hsbc, si nota una sezione dedicata proprio ai depositi che la il gruppo bancario aveva in questo paradiso fiscale. La Hsbc aveva ottenuto il diritto di offrire ai propri clienti dei depositi in dollari presso le isole Cayman con l’acquisto del Grupo Financiero Bital avvenuto nel novembre 2002. In seguito al perfezionamento dell’operazione il ramo “Cayman” della Bital venne rinominato Hbmx Sa e iniziò ad essere gestito direttamente dagli uffici di Città del Messico. La Hbmx e il gruppo Hsbc erano ben consapevoli del fatto che i depositi presso le Cayman avessero ereditato un maggiore rischio di riciclaggio rispetto a quelli messicani poiché operavano in una legislazione “offshore” con una forte tutela del segreto bancario e un regime tributario limitato. Anche in questo caso la mancata applicazione delle norme di controllo sui depositi alle Cayman viene sacrificata sull’altare della convenienza.

 

Così anche in questo caso, per oltre sette anni, le operazioni condotte sui depositi presso le isole Cayman vengono effettuate senza alcun tipo di controllo da parte della Hbmx, fino al luglio 2009, quando circa 9.000 depositi presso le Cayman vengono chiusi poiché sprovvisti della necessaria documentazione relativa alle norme Kyc. Nonostante la stretta nei controlli, la Hbmx continua ad operare oggi presso le isole Cayman dove mantiene oltre 20mila clienti per un totale di 657 milioni di dollari.

 

10/02/2015
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