Processo Thyssen: “condanne in giudicato”

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Il processo per la tragedia del 2007 alla Thyssen di Torino è a rischio prescrizione. Il motivo non è legato alla lentezza della Giustizia italiana, tantomeno alla malizia di avvocati difensori. La causa è un pronunciamento della Consulta, che conuna sentenza del 28 maggio 2014, riduce alla metà degli attuali, i termini di estinzione del reato per l’omicidio colposo e l’incendio colposo: da dodici a sei anni. Gli imputati – l’amministratore delegato Harald Espehahan, il responsabile della sicurezza Cosimo Caffueri, il responsabile dello stabilimento Raffaele Salerno, i due membri del Comitato esecutivo Gerald Priegnitz e Marco Pucci, il direttore per gli investimenti Daniele Moroni – sono stati condannati per omicidio colposo e non volontario.
Per di più, il 24 aprile scorso, pur confermando la responsabilità degli imputati, la Cassazione ha deciso di rinviare gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino, annullando una parte della sentenza che riguarda le «circostanze aggravanti» contestate agli imputati.
“Prevediamo che le motivazioni della sentenza arrivino dopo l’estate” ci spiega Elena Poli, avvocato della Fiom, costituitasi parte civile nella causa, a cui abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio la situazione.

 

Anche se le condanne sono già passate in giudicato nulla dice che la prescrizione possa realmente arrivare. Cosa prevedete e quale sarebbe il rischio?
“Dal dispositivo della sentenza della Cassazione risulta che l’accertamento della condotta di responsabilità degli imputati è confermato e quindi la rivisitazione  delle pene demandata ad una nuova pronuncia della Corte d’Assise d’Appello di Torino riguarderà soltanto l’eliminazione dell’aggravante con conseguente condanna per il reato di incendio assistito da colpa “cosciente”, che la sentenza della Corte d’Appello aveva ritenuto “assorbito”. L’accertamento  della responsabilità degli imputati è espressamente dichiarato irrevocabile con conseguente suo passaggio in giudicato e, quindi, dovrebbe “stoppare” la prescrizione. Il rischio è dato dal fatto che l’omicidio colposo si può prescrivere . Questo rende più possibile che i tempi necessari sia per la nuova  sentenza di appello e per il possibile ricorso in Cassazione, facciano avvicinare i tempi di decadenza per le condanne. Ma dal dispositivo sembrerebbe che la sentenza non possa essere più rivista”.

 

Quindi vi sentite sicuri?
“Prima di aver visto le motivazioni della sentenza possiamo al massimo formulare delle interpretazioni del dispositivo. Al momento quindi possiamo solo interpretare una pronuncia ‘incompleta’. Un rischio potrebbe esistere poiché il reato è stato derubricato a reato colposo”.

 

Il processo Thyssen sta tracciando la via nella storia giudiziaria delle cause sul lavoro. Quanti altri processi simili a questo rischierebbero di finire in un nulla di fatto e cosa potrebbe significare?
“Quanti non lo so. Il primo però che mi viene in mente è il processo Eternit. Lì non si trattava di omicidi ma di disastro doloso. Per l’Eternit bis la Procura di Torino ha già comunicato in sede di indagini preliminari che ci sono più di duecento casi di mesotelioma che verranno imputati a titolo doloso. Anche qui si propone lo stesso problema: se il reato è doloso non si prescrive. Se è colposo ha una prescrizione”.
“L’atra questione è capire se le motivazioni relative alla colpa sono uguali o diverse da quelle della Corte d’Appello. Questi due processi hanno due motivi di rilievo come precedenti. Uno è l’attribuzione a titolo di dolo della responsabilità di un infortunio sul lavoro. Cosa che non si era mai verificata. L’altro è l’entità della pena. Per la prima volta non sono pene simboliche come invece sono generalmente quelle degli infortuni, anche mortali, sul lavoro. Il dolo per un infortunio sul lavoro è legato al caso specifico: non è detto che d’ora in poi tutti i casi prevedano dolo, perché dipende da come si sono svolti i fatti, da qual è la storia. Nel processo Thyssen conta il fatto che gli imputati avessero la consapevolezza provata del dover mettere i sistemi di spegnimento automatico e non li abbiano messi rinviando le migliorie a una data successiva al trasferimento dello stabilimento. Per motivi economici quindi. Nel processo Eternit c’era la prova della consapevolezza non solo degli effetti cancerogeni dell’amianto ma anche di un’attività di occultamento dei danni. Per questi motivi si è chiesto il dolo, in questi casi precisi. Quel che è certo è che la pena è una pena di rilievo”.
“Infine, quello che ci aspettiamo per questo processo è che sia passata in giudicato la parte centrale della sentenza e cioè l’accertamento della responsabilità. E che questo tronchi il problema della prescrizione”.

 

 

Il video della sentenza del 28 febbraio 2013

04/07/2014
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