Otto e mezzo

CAMottoemezzo

 

 

Ovvero la bella confusione, come avrebbe voluto intolarlo il co-sceneggiatore, il grande Ennio Flaiano. La masturbazione di un genio, come si scrisse per definire l’ottavo film e mezzo del regista riminese più famoso del Novecento. Commenti di allora, ormai sono passati cinquant’anni, ma a distanza di mezzo secolo, l’emozione rivive. Vedere ieri sul grande schermo, in anteprima al TFF, la copia restaurata di questo capolavoro (Oscar per il miglior film straniero), è una magia forse impossibile da spiegare.

Fellini, di cui ricorre il ventennale della morte quest’anno, raccontò una storia molto autobiografica, ma allo stesso tempo mettendo a fuoco temi universali: il regista 43enne Guido Anselmi (uno splendido Marcello Mastroianni) è in crisi di ispirazione e non riesce a far cominciare le riprese del suo nuovo film. Circondato da assistenti, produttori, giornalisti e critici cinematografici, cerca di fuggire dalla processione quotidiana di persone che si aspettano da lui commenti, scelte, prese di posizione. E’ perennemente altrove, Guido. Nei sogni, nelle allucinazioni, nei ricordi di infanzia, nelle fantasie: ben presto realtà e piano onirico si intersecano, divenendo indistinguibili e complementari. E poi è circondato, tra finzione e verità, dalle donne della sua vita: la moglie, l’amante, le attrici, i flirt del passato, le conquiste, le aspiranti comparse o protagoniste, la madre, le femmine della sua infanzia. A ciascuna vuol bene e ciascuna tradisce, quasi infantile nel suo atteggiamento, con brutale franchezza da scapolo impenitente e adultero, senza cattiveria, dicendo la verità, ma cercando di non far soffrire nessuno.

E forse solo alla fine farà pace coi suoi demoni (femminili?), trovando il modo di riconciliarsi con se stesso e con gli altri, in quel girotondo di allegria contagiosa e malinconia crepuscolare, sulle note indimenticabili di Nino Rota, che chiude il film.

 

Fellini/Mastroianni/Guido/Snaporaz: ovvero l’essenza della fragilità e della contraddizione umana. Delle sue sfaccettature, ora meschine, ora gioiose, spesso bambinesche, talvolta da incubo. Ma come si fa a raccontare in poche righe un film che è un atto d’amore per il cinema, una confessione spudorata e personale, una metafora diabolica dell’uomo, ancora prima che della settima arte?

Forse non si può. Guardatelo e basta.

 

Asa nisi masa!

28/11/2013
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