Oltre Ippocrate

Il suicidio assistito di Lucio Magri ha riaperto il dibattito su un tema faticoso, per l’opinione pubblica italiana: la scelta di porre fine alla propria vita. E di farlo attraverso il supporto di professionisti che hanno giurato di fare tutto il possibile per mantenerla. Un consistente contributo è stato apportato dal professor Maurizio Mori, docente di Bioetica all’Università di Torino e autore di diversi articoli sull’argomento per L’Unità e alcuni testi, fra cui Il caso Eluana Englaro. La “Porta pia” del vitalismo ippocratico ovvero perchè è moralmente giusto sospendere ogni intervento. Lo abbiamo intervistato.

Perché in Italia si parla tanto di eutanasia, ma non di suicidio assistito?

In Italia oggi in generale il dibattito purtroppo è ancora a uno stadio più acerbo, nel senso che si parla di sospensione delle cure. Perchè anche su questo non tutti sono ancora d’accordo. La questione successiva è che il dibattito su suicidio assistito ed eutanasia è sostanzialmente lo stesso. La distinzione è che il suicidio assistito. Significa che uno compie l’ultimo atto da sé, come in Il mare dentro, si beve l’intruglio per conto suo. Glielo mettono lì ed è lui che tira su il liquido. Allora perché questo discorso? Perché deve esser lui a farselo. Però ci sono certi casi in cui le persone non sono capaci di farlo, non hanno più la possibilità. Ad esempio, mi dicono che nel caso Welby, lui stesso talvolta cercò di muoversi, per quel poco che poteva, e di togliersi la ventilazione, ma non ce la faceva. Io penso che tutto sommato sia molto meglio l’eutanasia che il suicidio assistito, nel senso che se ammettiamo il suicidio assistito come ammettiamo la sovranità dell’individuo sulla propria vita, e se l’individuo è sovrano può chiedere a un altro di essere aiutato perchè non può compiere lui l’ultimo atto. A volte perché non è a capace, a volte perchè non se la sente. Ma io stesso non mi sentirei, non so, di tagliarmi una mano. Ci sono certe questioni che a volte, giustamente, si delegano a terzi. Marco Travaglio l’altro giorno [l’intervista risale al 9 dicembre, ndr.] ha scritto un pessimo articolo sul Fatto, dicendo una cosa che mi stupisce, perché di solito è molto sottile. Dice che se tu chiedi a un altro di ucciderti nel momento in cui deleghi l’altro, la vita non è più tua. E quindi non puoi dare questa delega. Io lo trovo veramente paradossale questo ragionamento, perché se io sono sovrano dei pochi soldi che ho, li metto in banca, e non è che perchè li ho delegati a una banca, non sono più miei. Analogamente, io ho la sovranità politica, ma quando andiamo a votare noi cediamo la nostra sovranità politica ad un rappresentante. E’ vero che non ha l’obbligo di mandato, e talvolta uno vota e questo poi cambia casacca, e ci frega. Però la sovranità rimane sempre nostra. Dovremmo stare attenti a delgarla bene. La delega è lecita.

Ritiene che esista un’invadenza eccessiva, da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, in scelte personali come queste?

In questo caso il problema è legato alla questione che in Italia è ancora fortemente vivo il vitalismo, e dall’altra parte si unisce alla sacralità della vita. Il problema è la discrepanza fra il livello filosofico e il livello di senso comune. La questione è legata al fatto che noi abbiamo una società o perlomeno i medici che sono fortemente orientati alla sacralità della vita, allora questo comporta la normale interferenza con le cose private delle persone. Normale non perché c’è un’interferenza, ma perchè la vita è un fatto sociale. La questione è che nel vitalismo la vita è pubblica. Se non c’è la sovranità quando si dice che è un dono divino: l’hai ricevuta, è pubblica, e quindi non c’è interferenza di per sé.

Quindi è una questione di convinzioni personali di chi lavora nel campo.

In un certo senso mi stupisce che lo stesso Travaglio, bene o male, è la potenza del senso comune che continua a perseguire la linea. Per senso comune intendo common sense, ciò che le persone e l’opinione pubblica, ma talvolta con un livello basso, intriso di dicerie.Lui dice, il passo è più o meno così: “chi giustifica Magri e il suicidio assistito parte dall’idea che la vita è sua propria. Ma se la vita è sua propria uno non può chiedere ad altri, perché a quel punto la vita non è più sua. E’ vero che se io ho i soldi in banca, il banchiere potrebbe scappare e portarmi via i soldi. Però mi fido di lui.[…] Il nostro problema è che, quando lei dice che c’è un’interferenza pubblica, ha ragione, ma ha ragione semplicemente perchè il common sense, il senso comune diffuso porta all’idea che la vita è un qualche cosa di pubblico. Quest’idea è quella che porta anche alcuni che dovrebbero essere avanzati, mi riferisco ai comunisti etc, gli amici stessi di Magri, a ritenere che la sua sia stata una scelta depressiva.

Crede sia una scelta lucida?

Ci sono certe scelte che sono lucide, pur essendo propositive, e che si fanno volentieri. Altre scelte rimangono lucide anche se magari non si fanno volentieri. L’idea è che la scelta è libera solo quando è luminosa e radiosa. L’altro giorno ero in una commissione di concorso, c’era un posto solo e c’erano tre persone tutte e tre brave. Alla fine bisogna sceglierne uno. La scelta è lucida no? Se vai dal dentista che ti dice: devi togliere questo, questo o quest’altro. La scelta è lucida, però non vorremmo farci togliere un dente. Son scelte faticose, però mantengono la lucidità. Sono ancora le migliori rispetto all’arco possibile. Non sono frutto di patologia. E’ naturale che uno preferirebbe andarsene alle hawaii, starsene contenti e felici con tutte le cose come sono nelle rappresentazioni delle fiction, no? Però la vita non è sempre così. A volte la vita comporta scelte lucide, negative. Probabilmente Monti o la Fornero quando devo scegliere come tagliarci lo stipendio e le pensioni, sono scelte depressive.

Una ricerca condotta in Svizzera ha mostrato come molti a cui è stato dato il via libera per il suicidio assistito, si sono tirati indietro all’ultimo. Fra di loro, anche alcuni pazienti terminali. La spiegazione che viene data è che l’idea di avere un controllo sulla propria morte abbia in un certo senso ridato speranza. Lei cosa ne pensa?

Invece di andare in Svizzera, pensiamo un attimo ai suicidi in Italia. Che mi pare nel 2008 sono stati, quelli accertati, 5000-6000 circa. Questi suicidi sono solo quelli giovani. Per giovani si intende 18-64. Poi i suicidi più avanti negli anni aumentano molto. Io penso che intanto non ci vedo nessuna contraddizione al fatto che persone che avessero la possibilità del suicidio assistito si tirino indietro, anzi è un vantaggio. […] Il problema è che ad un certo punto è giusto lasciare la libertà. Se noi forniamo assistenza, creiamo un dialogo, può darsi che questi magari.. Diciamo che abbiano ragioni economiche. Se si possono risolvere, un aiuto si può dare no? Si instaura un aiuto, tale da considerare qualcosa di meglio.


28/12/2011
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