"Non mi dimetto (anche se non mi sono candidato)"

 

Le recenti amministrative italiane hanno sancito, più che il reale peso degli schieramenti partitici italiani, il discredito che i cittadini votanti nutrono nei loro confronti. Tutti i tradizionali attori della scena politica nazionale hanno visto cadere le loro percentuali di approvazione, mentre sono saliti alla ribalta fenomeni di “movimento” come quello delle Cinque stelle del comico Beppe Grillo. “Nelle 24 città analizzate il centrosinistra ha perso circa 40.000 voti rispetto alle regionali del 2010, pari al 7% dei propri voti del 2010. (…) Il Partito Democratico ha subito una contrazione pari al 29% dell’elettorato che lo aveva scelto nel 2010 (pari a un decremento di 91.000 voti”; l’Italia dei Valori perde il 58% dei voti; i partiti della sinistra il 16% . (…) Rispetto alle regionali del 2010, il centro-destra registra un forte calo su tutto il territorio. Le perdite riguardano soprattuttola Zonarossa (46.000 voti in meno) ed il Nord (123.000 voti in meno). Rispettivamente, -58 e -41 per cento. Questi i risultati dell’analisi dell’Istituto Cattaneo.

Tradotto: coloro che votano hanno perso fiducia in coloro che li amministrano. E non hanno solo cercato alternative: più della metà degli italiani che erano chiamati alle urne non ci sono andati.

Mentre nel Paese si disputano gli ultimi ballottaggi, e negli stessi giorni in cui a Mario Monti giunge il curriculum del Mago Zurlì e di Topo Gigio per il posto di presidente o direttore generale della Rai, si diffonde la consapevolezza della sfiducia verso la classe politica, insieme purtroppo alla sensazione che “chiunque saprebbe fare meglio”.

Se avevamo letto del ministro Scajola che diventava, senza saperlo, proprietario di un appartamento con vista sul Colosseo o di Bossi, a cui veniva ristrutturata la villa a sua insaputa; o ancora di Tremonti che non conosceva quanto e chi pagava l’affitto del suo appartamento in centro a Roma finendo con Berlusconi che dichiarava di essere convinto che Ruby fosse la nipote del Capo di Stato egiziano, forse in pochi conoscono la storia di Fabio Borsatti, imprenditore e, suo malgrado, novello politico.

La storia è ambientata a Cimolais, paesino in provincia di Pordenone sopra i2000 metri di altitudine. Il signor Borsatti, 50 anni, residente a Claut (pochi chilometri da Cimolais), gestore dell’Hotel Dolomiti ne è diventato sindaco. A scapito del precedente amministratore del borgo di 507 anime, Gino Bertolo, suo cognato, residente a Venezia.

La mente dell’operazione elettorale è proprio l’ex sindaco che, unico candidato in corsa per il municipio di Cimolais, chiede, temendo eventuali commissariamenti o il mancato quorum, a Borsatti di candidarsi con una sua lista, mordi e fuggi, ma nulla di serio!

Dopo il voto le urne dicono: Bertolo perde con 117 voti e tre seggi, Borsatti vince con 160 voti e 8 seggi. Ma non festeggia perché nemmeno lo sa: mentre si effettua lo spoglio lui si prodiga per organizzare i festeggiamenti per lo scudetto della Juventus. Anzi, una volta contattato dal giornalista di una testata locale per un commento alla vittoria (sua, non della Juve), pensando a uno scherzo, chiede di essere lasciato in pace. Ha cose più importanti a cui badare. Come biasimarlo? Bastano quattro espressioni: Milan, Berlusconi, scudetto 2010-11, estate di massima recessione.

Ricontattato una seconda volta, giusto il tempo che impiegano le notizie a diffondersi in un paesino, Borsatti risponde che è impossibile: lui non è nemmeno andato a votare, anzi ha fatto campagna per il Bertolo facendo votare per lui i famigliari: “mia figlia, mia sorella, mio papà e mia moglie hanno votato tutti per lui”, tu quoque!

La situazione, imbarazzante da commedia familiare, prospetta inizialmente per l’ex sindaco Bertolo un ruolo da vice. Ma in pochi giorni il Borsatti si inorgoglisce e sentendo il noto peso della responsabilità amministrativa dichiara ai media locali che sta “costruendo qualcosa con dei ragazzi giovani e Gino potrebbe uscire da questa squadra”, anche perché Gino a questo punto rappresenta l’opposizione e Fabio sta scrivendo il suo programma con l’assistenza di coloro che lo hanno votato. Afferma Borsatti: “Anche se qui i gufi dicono che mi dimetterò non è vero. Io non mi dimetto” Candidato dal cognato, incaponitosi da solo, manovrato dagli elettori.

Non sapremmo se giudicare l’episodio come l’ennesimo caso dell’ormai classico “Insaputismo” politico italiano o una nuova forma di governo che nemmeno i greci avrebbero saputo etichettare. In attesa di sviluppi (o correzioni) lo chiameremmo: nemocrazia.

18/05/2012
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