Non essere cattivo

Ostia, 1995. Vita intrecciata di due amici d’infanzia, ormai adulti. Vittorio (Alessandro Borghi) e Cesare (Luca Marinelli) sono due giovani sbandati, divisi tra spaccio, consumo di droghe (cocaina e pastiglie), piccoli crimini per pagarsi i propri vizi. Intorno a loro la periferia degradata, il disagio sociale, un’umanità ai margini, compressa in uno spaventoso slancio vitalistico e, al contempo, autodistruttivo. Vittorio cercherà di emanciparsi dal contesto criminale, Cesare ne sarà sempre più inghiottito. Li lega un rapporto viscerale, quasi fraterno, che li tiene insieme anche nelle derive più estreme. Entrambi, cresciuti in un ambiente violento, riservano la loro empatia e tenerezza ai propri (pochi) cari e per questi soffrono: su tutte, la nipotina malata di Cesare. 

Claudio Caligari, regista di pochi film nemmeno troppo conosciuti ormai (“Amore tossico” e “L’odore della notte”) è morto poco tempo dopo le riprese. Questo suo ultimo film, di cui ha firmato anche il soggetto, è l’ultimo suo sguardo sul mondo: una fotografia cruda e reale, dell’evoluzione dei ragazzi di vita (vent’anni dopo la morte di Pasolini), recalcitranti a integrarsi nella società e nel mondo del lavoro, in uno spaccato a metà degli anni ’90 della periferia romana, due decenni prima della Roma di Mafia Capitale e del funerale dei Casamonica.

Prodotto da Valerio Mastrandrea, che lo ha accompagnato in questi giorni a Venezia, dove è stato presentato fuori concorso, al Festival del Cinema.

Nella sua ricerca antropologica (quasi neorealista), pur con qualche difetto di sceneggiatura, il film trova nei due interpreti il motore trascinante dell’azione: Caligari, senza esprimere posizioni, ha cercato di capirli fino in fondo. Il suo merito, in fondo, è di aver voluto bene ai personaggi di Cesare e Vittorio, senza riserve nè freni.

09/09/2015
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