Nebbia in agosto

Ernst Lossa (I. Pietzcker) ha tredici anni, nella Germania nazista in guerra: è un ragazzino irrequieto, insofferente alla disciplina, senza una madre e con un padre venditore ambulante e senza residenza fissa. Passa da un istituto all’altro, finchè giunge all’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren. Il direttore, dottor Veithausen (S. Koch) guida la clinica con pazienza e dedizione, anche se di quando in quando deve “spedire” i pazienti più mal messi, lontano dall’ospedale e ben presto si capisce per cosa: programma di eutanasia dei più deboli. Sono le direttive che arrivano da Berlino: i malati psichici, i disabili, gli epilettici, o comunque i più costosi degenti sulle casse del Reich devono essere eliminati. Veithausen ha degli assistenti, tra infermieri e alcune suore. Una di queste inizia a sospettare, dopo la fine dei viaggi dei malati considerati “terminali”, che in realtà il direttore abbia iniziato a praticare l’eutanasia all’interno stesso dell’ospedale, con discrezione e cercando di non destare allarmismo tra i pazienti. La suora cerca di opporsi, mentre Ernst si scopre generoso e altruista verso chi è più sfortunato di lui. La guerra incombe, ma anche questo non ferma il programma nazista, nella sua allucinata follia eugenetica.

Storia vera di Ernst Losse, assassinato nel 1944, come gli oltre 200mila “diversi” eliminati dai nazisti, tra il 1939 e il 1945. Bella sceneggiatura, su una pagina poco raccontata al cinema della barbarie hitleriana, musiche funzionali, ottima direzione degli attori: gli interpreti dei giovani pazienti della clinica sono tutti bravi, straordinario Pietzcker che dà a Ernst una credibilità umana notevole; bella prova anche per Koch (“Le vite degli altri”), abile nel rendere bene l’ambiguità del suo personaggio.

E’ un film che parla di molti temi, sotto il segno della banalità del male: senso di colpa, obiezione di coscienza, cecità bieca e obbedienza vigliacca sotto il regime di Hitler, condiscendenza immorale e complicità meschina negli omicidi dei più inermi. I titoli di coda raccontano la fine dei protagonisti, a guerra conclusa.

Mette i brividi e fa riflettere. Da guardare, non solo perchè è quasi il 27 gennaio.

19/01/2017
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