Mommy

Storia struggente e fortissima di una madre e di un figlio: nel Canada immaginario del 2015, e però così reale, Diane cerca di star dietro al figlio Steve, quindicenne e disadattato, appena cacciato dall’ennesimo istituto, per aver appiccato il fuoco nella mensa, ferendo così un compagno. Steve ha deficit di attenzione, ma soprattutto scatti di ira violenta, che non riesce a controllare e lo rendono pericoloso e aggressivo oltre modo. Così madre e figlio tornano sotto lo stesso tetto, anche perché il marito di Diane non c’è più da anni: la donna si arrangia come può per portare soldi a casa, con piccole traduzioni e lavori di pulizia a domicilio, Steve dovrebbe studiare per completare la sua istruzione; trova l’aiuto inaspettato di Kyle, dirimpettaia dei protagonisti, donna apparentemente fragile e con qualche problema di balbuzie, che si propone di aiutare il ragazzo nello studio. Questo strano terzetto stringe un legame fortissimo e quotidiano, non privo di fatiche, frustrazioni e liti violente. La ricerca dell’equilibrio è difficile, Steve è un cane sciolto difficile da imbrigliare, che non si sente sufficientemente amato e rischia di commettere imprudenze, di rovinarsi la vita con le proprie mani, incapace di uscire dal pantano nel quale si trova. Epilogo amarissimo.

Xavier Dolan, enfant prodige del cinema, a 25 anni ha fatto il suo quinto lungometraggio, premiato a Cannes, che ha molti meriti: la scelta del formato, in primis, più stretto di un 4:3, la gabbia visiva in cui si muovono i personaggi, spesso e volentieri ripresi in primissimo piano; una resa degli attori, infallibile, in cui è difficile fare una classifica del più bravo; un uso funzionale della colonna sonora; una sceneggiatura solida, con sequenze che mescolano la rabbia e la tenerezza che Steve incarna (il karaoke e la rissa, il ballo a casa con Celine Dion, la scena verso la fine nel supermercato, il sogno ad occhi aperti che fa Diane sul futuro del figlio).

Dolan lascia sospeso il giudizio e consegna al pubblico una storia di un amore viscerale e potente, capace di far piangere e quasi disturbare: Steve è tanto più fragile, quanto la sua incapacità di relazionarsi col mondo si palesa nei rapporti più stretti.

Ritratto di una madre forte e di un figlio altrettanto, almeno in superficie, molto meno sul piano psicologico. Steve fugge fino alla fine, da chi vuole legarlo. Si può comprendere la scelta di Diane, nel finale? Non c’è risposta probabilmente, mentre nell’ultima scena e coi titoli di coda poi, si resta a chiederselo, con la canzone di Lana Del Rey in sottofondo, ancora angosciati.

29/12/2014
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