Louisiana (the other side)

Mark, intorno cui gira la storia di questo documentario, è un tossicomane bello e dannato. Si fa con costanza e senza riserve, la sua compagna Liza lo segue nella sua prassi autodistruttiva, la sorella e il nipote sono tossici anch’essi, gli amici e i compagni di lavoro, oltre che di sbronze, sono spettri sbiaditi e consumati, uomini segnati dalle rughe e dagli eccessi. Ma quella di Mark non è una discesa agli inferi, solo la fotografia feroce di una quotidianità squallida e nemmeno esibita, che fa da contraltare all’ambiente della provincia sperduta e selvaggia (la prima scena, i boschi, lui in barca). Sullo sfondo e in controluce, la provincia umana, oltre che quella fisica, fatta di veterani di guerra, patriottici paramilitari che odiano Obama e si armano fino ai denti (l’interpretazione stringente del celebre secondo emendamento!), uomini miserabili e sconfitti, che si riconoscono in una reciproca solidarietà e condividono una socialità etilica, oltre che una loro speranza di libertà.

Mark, tuttavia, non ha nulla dell’autodistruzione beatnik, non somiglia per nulla al Mark Renton di Danny Boyle, è un uomo che cerca di stare a galla e sopportare i suoi demoni (la nonna anziana, la madre malata): non può non fare tenerezza nella sua struggente deriva e nelle sue sofferenze.

Minervini, documentarista talentuoso ormai conosciuto anche fuori dall’Italia, ha girato un film sull’umanità dolente americana. Presentato a Cannes, nella sezione “Un certain regarde”. Forse troppo ostico per noi europei, per essere capito fino in fondo.

Spiazza, disturba, angoscia, deprime e sconvolge per l’estremo fascino delle immagini; privo di giudizio, Minervini esplora con sguardo da antropologo un aspetto del cuore di tenebra statunitense, quello disilluso e crudele, ferito e coriaceo. Senza catarsi, né redenzione: il sogno americano è andato in fumo, come la carcassa dell’auto nell’ultima scena.

29/05/2015
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