"Lincoln"

 

 

Un film su Abramo Lincoln. Un film di Steven Spielberg. Ma non è un’agiografia, nè una biografia a tutti gli effetti. E, lo diremo subito, è certamente un bel film. La pellicola del Re di Hollywood, ormai uno dei produttori e registi più potenti della Mecca del cinema, si concentra su un pezzo breve e poco conosciuto della vita, del celebre presidente. Tre settimane nel gennaio 1865, più uno strascico finale in aprile. Il cuore della storia resta, infatti, la battaglia parlamentare per approvare il XIII° emendamento, alla Camera, l’ultimo atto formale per abolire definitivamente la schiavitù. E mentre la Guerra di Secessione continua cruenta intorno, Lincoln si intestardisce a voler far approvare la legge, in tempi molto rapidi. Ha l’approvazione del suo partito, quello repubblicano; ma sa che deve guadagnare almeno 20 voti tra le file dei democratici, invece contrari. La corsa contro il tempo sarà lucidissima e spietata, fatta di arguzie e mosse ai limiti della corruzione. 

 

Film lungo, forse eccessivamente, ma non noioso (certo il meccanismo delle leggi e del voto al Congresso è un po’ complicato, ma vale la fatica!), “Lincoln” ricostruisce con sapienza un’epoca sanguinosa (la sequenza iniziale nel fango, la visita finale del Presidente, sul campo di battaglia), che resta tuttavia sullo sfondo, e di sicuro un’atmosfera idealistica, uno stato d’animo (la scena iniziale del protagonista, che ascolta i soldati parlare, lui al riparo dalla pioggia, loro sotto l’acqua). Il merito di raccontare una pagina di storia poco nota, è innegabile: curioso vedere i repubblicani di allora, convinti abolizionisti e i democratici invece no.

“Lincoln” è soprattutto il ritratto di un uomo politico dall’intelligenza straordinaria, dalla lungimiranza fuori dal comune; ma anche un ritratto privato, fatto di complicati rapporti famigliari (la moglie, il figlio più grande che vuole arruolarsi), di un uomo che amava scherzare, raccontando sapidi aneddoti, a volte in salsa macabra, spiazzando avversari e collaboratori; di un uomo con i suoi dubbi e le sue contraddizioni, le sue fatiche umane e personali. La performance di Daniel Day Lewis, ingobbito e dallo strano incedere, è superiore ad ogni elogio e, dopo il successo ai Golden Globe, lo piazza in pole position, per gli Oscar. Sarebbe il terzo, eguagliando il record di Jack Nicholson. Senza nulla togliere ai suoi avversari nella notte del 24 febbraio, glielo auguriamo di cuore!

Intorno al protagonista, una bella squadra corale, che Spielberg dirige con attenzione: il deputato sanguigno repubblicano di T. L. Jones e la moglie di S. Field (entrambi candidati all’ambita statuetta dorata), ma anche il Segretario di Stato impersonato da D. Strathairn e il mascalzone cerca-voti, con le sembianze baffute e imbolsite di J. Spader

Squadra di tecnici collaudati e fidi, di prim’ordine: le musiche di John Williams, la fotografia caravaggesca di Januzs Kaminski.

 

Lincoln è quasi romantico nel dipingere una stagione lontana, nella quale l’uomo che abolì la schiavitù dei neri, e per questo sarebbe stato ucciso, fu l’emblema di una visione universale della vita, in cui era troppo importante la posta in gioco, per tirarsi indietro. O per rifiutare compromessi necessari. Quasi anacronistico, forse oggi. Ma se il presidente americano oggi è di colore, lo dobbiamo anche e soprattutto a quell’uomo (politico) ostinato e tenero, ambiguo e cupo, sagace e determinato, che Spielberg ci ha raccontato con forza.

 

06/02/2013
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