Lei

E se un uomo si innamorasse di un sistema operativo? Succede nel bel film di Spike Jonze (il folle regista di “Essere John Malkovich”), “Lei”, appunto. Theodore (J. Phoenix) scrive lettere sentimentali o d’amicizia, per altri, ed è anche molto dotato in questo campo. Forse sa immedesimarsi (vivere?) meglio nell’emozioni altrui, piuttosto che confrontarsi con le proprie. Ha alle spalle un matrimonio finito, che aspetta di essere ufficializzato dal divorzio. Un giorno acquista un sistema operativo, che diventa la presenza virtuale più importante della sua vita: relazionandosi con lui soltanto con la voce femminile (nell’originale S. Johansson, Michaela Ramazzotti “presta” la vita nella versione italiana), questa intelligenza artificiale che si chiama Samantha, diventa l’oggetto delle sue attenzioni, il motivo del suo buon umore, il pensiero delle sue giornate, la compagna dei suoi viaggi. E’ una relazione a tutti gli effetti, al netto della mancanza di fisicità corporea di uno dei due partner (a parte un tentativo goffo e umiliante, in una bella scena del film). 

Finale amaro, come era prevedibile, ma di speranzosa catarsi. 

Storia molto originale (scritta da Jonze), bella sceneggiatura giustamente premiata agli Oscar (basterebbe su tutte la scena della chiamata notturna alla chat erotica), bella prova di Phoenix, in pratica solo in scena, a rapportarsi con una voce, funzionali musiche di pianoforte. Apologo del deserto dei sentimenti e dell’incomunicabilità tra persone in carne ed ossa (la città dall’alto smisurata ed eppure “vuota”), ora tenero, ora struggente, un film malinconico e sottile, che ci costringe a riflettere su di noi: su come viviamo le relazioni, le aspettative che vi investiamo, l’idealizzazione che ne facciamo, il loro risvolto ferocemente reale e la nostra fatica a confrontarsi con esso. O con lei, chiunque sia.

14/03/2014
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