L'auto elettrica, la Cina e gli equilibri mondiali



La nostra storia inizia in Renault, casa automobilistica francese – partecipazione statale: 15% – nell’estate 2010. Tre dirigenti, Jean-Michel Balthazard (membro del comitato di direzione), il suo collaboratore Bertrand Rochette e Matthieu Tenebaum, che si occupa del settore auto elettriche, vengono sospesi per sospetto spionaggio industriale. In particolare, vengono accusati di aver venduto a un’azienda cinese alcune informazioni segrete sulla produzione di auto elettriche.


Inizialmente l’affaire viene gestito internamente, poi esce dall’azienda grazie alla stampa – secondo Le Figaro, primo a dare la notizia in Francia – e finisce sotto l’attenzione della magistratura. E del mondo intero. L’azienda nominata dal giornale è la China State Grid Group., colosso (ovviamente statale) dell’energia elettrica. Nei giorni scorsi, spuntano conti svizzeri a nome di due dei tre dirigenti, in cui qualcuno ha iniettato rispettivamente 130.000 e 500.000 euro.


La diplomazia non resta ferma. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Hong Lei replica scandalizzato che le accuse sono infondate e inaccettabili. Christine Lagarde, ministro francese dell’Economia, conferma l’interesse dello Stato nella vicenda, in quanto azionista dell’azienda, ma non fa nomi. Soprattutto, non nomina la Cina. Pesa le parole con delicatezza.


Perché? Perché in questi giorni è in atto una guerra economica, e Sarkozy è uno dei protagonisti. Il presidente francese cerca infatti di approfittare della presidenza del G20 per far passare una riforma del sistema monetario internazionale. Indispensabile, nell’operazione, il sostegno della Cina. E l’ultima cosa che può permettersi è un incidente diplomatico. Le indagini sono ancora in corso, e senza dubbio l’esito avrà un peso negli equilibri internazionali.

18/01/2011
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