La pazza della porta accanto

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Cinquanta minuti di intervista frontale ad uno dei simboli del secolo scorso, scomparsa nel 2009: Alda Merini, la pazza della porta accanto. La descrizione, che agli occhi dei più può sembrare infelicemente attribuita dall’esterno, è utilizzata dalla poetessa stessa nel corso dell’intervista.

 

Il film di Antonietta de Lillo si basa interamente sul girato del 1995 nella casa della nota autrice, durante una chiacchierata dove l’intervistatrice scompare e a tenere la scena è soltanto la forza narrativa di Alda Merini, che tra un verso ed una frase allegra mantiene l’attenzione senza sosta.

Il leit motiv dell’intervista sembra quello degli affetti, dell’amore: per i figli, per i suoi (tre) mariti, per Dio, per la vita. Ma ad emergere dopo la prima ventina di minuti è invece il tema che ha accompagnato l’esistenza e la poesia della Merini, l’ospedale psichiatrico. L’esperienza traumatica del manicomio, dell’elettroshock, della morte interiore provata nei venticinque ricoveri durante la sua vita, fanno capolino tra la lettura delle poesie e il racconto della sua esistenza. Il trauma più grande sembra riguardare il rapporto con i figli, che le furono tolti a causa dei numerosi ricoveri; ed è proprio con la metafora del figlio che definisce il manicomio: come “un figlio stupido, ma laureato in legge”.

 

Ad inframmezzare la tensione di quello che pare più un monologo che un’intervista, immagini dei Navigli milanesi e del Duomo, uno scorrere di dettagli di bellezze e speranza incorniciato dal buio, angoscioso e triste, riuscita rappresentazione dell’animo complesso dell’artista.

26/11/2013
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