La legislazione sul caporalato: una battaglia ancora in corso

 

 

In seguito allo scandalo e all’attenzione mediatica suscitate dai fatti di Rosarno, nel marzo del 2011 la Cgil e la Flai (Federazione Lavoratori Agro- Industria) hanno lanciato una campagna nazionale dal titolo “StopCaporalato!”, volta a promuovere una proposta di legge che mirava ad inserire nell’ordinamento giudiziario il reato di caporalato. In quella data infatti esso veniva punito soltanto in caso di flagranza e con una sanzione amministrativa di appena 50 euro per ogni lavoratore ingaggiato. Le motivazioni che hanno spinto il sindacato a impegnarsi fortemente per la causa sono soprattutto i dati sull’incisione del fenomeno; questi, parlano infatti di 400mila persone che lavorano sotto caporale in tutta l’Italia, di questi almeno 60mila vivono in condizioni di assoluto degrado, in alloggi di fortuna e sprovvisti dei minimi requisiti di vivibilità e agibilità. Il lavoro nero, sempre secondo questi dati, incide il 90% nell’agricoltura nel Mezzogiorno, per il 50% al Centro e per il 30% al Nord. Solo nel 2009, nel settore, si sono registrati 53mila infortuni, 125 morti, quattromila malattie di origine professionale, con un incremento del 113 per cento rispetto all’anno precedente.

La mobilitazione ha dato un primo importante risultato: nell’agosto del 2011, infatti, è stata approvato l’articolo 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), inserito nel decreto 138, la famosa “manovra finanziaria di agosto”, il cui testo recita “Chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato”.

Senza dubbio ciò rappresenta una vittoria, poiché significa il riconoscimento della specificità del reato di caporalato, che ad oggi gode quindi di una legislazione ad hoc. Tuttavia le battaglie di contrasto al fenomeno non si sono esaurite. Per fermare il traffico illegale di manodopera occorre riconoscere la responsabilità delle aziende che utilizzano le braccia offerte dai caporali e tutelare chi denuncia i propri aguzzini, in particolare i migranti irregolari. Secondo il segretario della Flai Stefania Crogi, infatti, «Servono delle tutele per chi denuncia i caporali». Quindi in primis bisogna cambiare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, «perché è evidente – aggiunge il segretario Flai – che chi non ha il permesso di soggiorno non denuncia i suoi sfruttatori, in quanto rischia di essere espulso dall’Italia. E poi c’è bisogno che le imprese che operano ai margini della legalità siano escluse dagli appalti».

 

25/11/2011
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