La guerra il giorno del mio compleanno

Questa è la mappa della Siria oggi. Oggi è il 30 agosto. Whatsapp mi sveglia con un messaggio di auguri per i miei 40 anni. Poco dopo su Skype scorrono le chat di amici e colleghi. Alcuni scrivono da una delle città segnata su questa mappa. Come se l’insignificante data di oggi fosse una piccola scusa per appigliarsi a una normalità che non esiste più. Perché la gente vive anche dentro questa mappa segnata da quei bollini rossi che non sono le previsioni del traffico di agosto, bensì i raid, attacchi e esplosioni delle ultime ore. Sebbene oggi vorrei continuare a crogiolarmi nell’abbraccio degli amici che mi scrivono, credo di dovervi chiedere qualcosa. Fatemi un regalo: leggete questa mappa.

Mi rendo conto di quanto sia difficile credere che stia succedendo in questo momento. Persino da qui, a soli 100 chilometri dal confine pensiamo al prossimo weekend turistico a Petra. Imporci poi di guardare lo scempio della guerra nella timeline di Twitter tutte le mattine sembrerebbe un voto quaresimale.

L’unica cosa che vi chiedo è piuttosto di capire questa geografia della guerra. Non per un puro esercizio intellettuale da sbandierare alla prossima discussione geopolitica al bar (anche se non succede tutte le mattine, è possibile che accada e in quel caso sarete pronti a dire la vostra). Sono convinto invece che guarderemo con occhi diversi la prossima persona che scappando da tutto questo arriva, rischiando un’altra volta la vita, sulle spiagge italiane di fine agosto. Capiremo che quella persona non c’entra nulla e che non bisogna confondere guerra, migrazione e terrorismo.

Come nel gioco del Risiko, le armate sono rappresentate per colore: in rosso le truppe di Damasco di Bashar Al-Assad appoggiate dal gruppo terrorista con base in Libano (Hezbollah), dall’Iran e dall’esercito russo che scende fisicamente in campo con navi, aerei e carri armati. In verde i gruppi ribelli, molto divisi tra loro. Alcuni frutto dell’impeto rivoluzionario che animo’ le Primavere Arabe del 2011, altri molto vicini al Al-Qaida o altri gruppi religiosi. In giallo i curdi appoggiati dagli Stati Uniti, che hanno basi militari e mezzi nel Nord-Est del paese. Il Kurdistan come Stato nazionale formalmente non esiste: una parte dei curdi abita in Turchia, altri nel nord dell’Iraq (con un referendum sull’indipendenza il prossimo mese) e altri nella Siria del nord, una delle poche zone dove è consentito un accesso sicuro alle organizzazioni internazionali. Comunque, la Turchia di Erdogan ha occupato militarmente una porzione del nord della Siria, spezzando cosi l’avanzata curda. I curdi sono infatti da anni perseguitati dalla Turchia e le loro organizzazioni sono considerate gruppi terroristi. Erdogan ha anche fatto costruire un lunghissimo muro lungo il confine tra il suo paese e la Siria. In grigio infine l’ISIL (o ISIS) che controlla con il terrore una zona che sconfina in Iraq. Il Califfato ha perso recentemente la città irachena di Mosul e sta perdendo l’autoproclamata capitale Raqqa, riconquistata dalle truppe curde con l’appoggio americano. In blu (in fondo a sinistra) le alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele dal 1967 (Guerra dei Sei Giorni).

Cosa si capisce da questo quadro? In Siria si gioca una guerra mondiale, le cui alleanze sono a geometria variabile, il che non fa prevedere un’accordo vicino, nonostante i tentativi dell’ONU a Ginevra o quelli di Astana (la capitale del Kazakhistan che ha ospitato i colloqui di pace). L’unico recente risultato prevedeva una tregua in certe zone particoalrmente sotto tiro, ma funziona solo ad intermittenza.

Politica, ideologia e religione sono gli ingredienti di questa ricetta esplosiva. Il problema e’ che di questi tre elementi non abbiamo le chiavi. L’Europa ha una politica estera frammentata (tra i 28 paesi membri), incorente (pagando Erodgan per fermare i migranti), a corto termine (sempre in termini di costante emergenza). All’ideologia rispondiamo con un capitalismo in crisi. Alla religione con un modello laico multiculturale debole e attaccato dalle destre ignoranti.

Cosa succederà? Difficile dirlo. Recentemente, il governo di Damasco ha riconquistato diverse zone, probabilmente riuscirà ad arrivare per primo ad Deir-Azzor, l’ultimo caposaldo dell’ISIS e continuerà nella morsa dell’assedio le enclavi ribelli (verdi sulla mappa). Una volta sconfitto l’ISIS -prevedibilmente nei prossimi mesi, seppure contintuerà l’onda lunga del terrorismo- le potenze regionali e internazionali si troveranno faccia a faccia, tutte preoccupate di non perdere la propria posizione. La guerra attuale con tutti i raid aerei di Usa e Russia rappresentano un cospicuo investimento che ognuno vorrà far fruttare. Se il problema tornerà ad essere di natura politica, almeno gli aiuti umanitari potranno entrare in un paese dal passato glorioso ed ora completamente in macerie. Altrimenti continueranno a parlare le armi, magari con meno clamore, come in un nuovo Iraq o in un altro Afganisthan.

Mi chiedo allora se a 40 anni possa permettermi ancora la speranza. Non quella lussuosa, segreta e in fondo ipocrita (e forse anacronistica e vana) di chi comunque spera che l’Europa continuerà ad essere un’isola di relativo benessere, ben più lontana delle sole 3 ore di volo che la separano dal Medio Oriente. Vorrei piuttosto trovare il modo di coltivare quella speranza che da la forza di andare avanti, talvolta persino di scherzare, alle persone normali scosse dai suoni dei caccia e dalle vibrazioni di un’esplosione che almeno stavolta era poco più lontano.

30/08/2017
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