#Jesuischarlie

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Nella mattinata del 7 gennaio, due persone incappucciate hanno fatto irruzione nella redazione di Charlie Hebdo causando 12 morti e 8 feriti. Abbiamo chiesto a Claudia Chimento, ex membro della nostra redazione che vive a Parigi, di scrivere un articolo su quanto accaduto oggi:

 

Charlie Hebdo, le journal irreponsable, è il più celebre periodico francese di satira politica. Sin dalla sua fondazione negli anni Sessanta, ha sempre fatto parlare di sé grazie al suo modo originale di affrontare tematiche e cronache legate alla politica francese, e non solo.
Charlie Hebdo, per sua storia, da sempre simpatizza per l’ala più repubblicana del Paese, ma non si è mai tirato indietro, in diverse occasioni, per criticarne i suoi esponenti e le loro azioni.
In Italia, il periodico ha attirato l’attenzione su di sé in particolar modo nel 2012, per la pubblicazione delle ormai famose vignette ironiche e irriverenti raffiguranti la vita di Maometto, che sono costate al giornale satirico una denuncia per incitazione all’odio. Nelle pagine di Charlie Hebdo, il profeta della religione islamica era stato raffigurato in modo osé e, per alcuni, in modo del tutto inappropriato e di “cattivo gusto”. Ciò provocò reazioni da parte dei governi del Marocco e dell’Egitto e costrinse inoltre la Lega Araba e il Governo Francese a prendere posizioni a riguardo, per paura di ripercussioni violente da parte di credenti musulmani. La situazione fu gestita in modo diplomatico grazie a esponenti moderati di tutte le fazioni coinvolte e la calma regnò, in quell’occasione, in Francia.
Si trattò, però, di una ferita mai rimarginata.
La Francia, infatti, lotta da decenni per cercare di trovare un equilibrio culturale tra chi si sente francese e chi no. Gli anni Sessanta, durante i quali iniziò la vera e propria emigrazione dai paesi africani colonizzati (Marocco, Algeria, Tunisia, Senegal…), hanno rappresentato l’inizio di una convivenza difficile tra colonizzatori e colonizzati, tra culture e, soprattutto religioni diverse. Tra queste, l’Islam, secondo una statistica del 2011, è la religione professata dal 7,5% degli abitanti nel territorio transalpino.
L’attentato di oggi, però, non riguarda soltanto il tema degli integralismi religiosi, ma anche quello della libertà di stampa e di satira.
Stasera alle 19, in Place de la République a Parigi, il popolo parigino si riunirà per ricordare e commemorare le 12 vittime di questo tragico e insensato gesto nei confronti di chi vuole fare informazione e, soprattutto, per ribadire il concetto che informare è un diritto e un dovere. La satira è un modo di fare informazione. Lo fa irridendo, esasperando, esagerando con fatti e personaggi, cercando di far riflettere strappando una risata. Può non piacere, può essere criticata e perfino essere giudicata di cattivo gusto.

 

Ma la libertà di stampa non può essere “decapitata” dalla violenza o “processata” con una condanna a morte. La morte non può essere il prezzo da pagare per chi decide di esprimere un’opinione o per raccontare una storia. E le persone che oggi sono entrate nella redazione parigina armi in pugno non possono essere chiamati musulmani. Sono uno sparuto gruppo di estremisti che si professano difensori dell’Islam. Con le loro mani sporche di sangue hanno consegnato nelle mani della destra estrema europea pacco regalo. In Francia, come in Italia e in ogni altro paese d’Europa, questo fatto di sangue verrà strumentalizzato, indicando nell’Islam il nemico, nell’impossibilità di integrazione di diverse culture la soluzione.

 

La libertà di stampa non deve essere decisa da chi ha qualcosa da nascondere né da chi pensa che la propria opinione sia la verità o che la verità sia qualcosa di cui non si debba parlare.
Noi, oggi, come l’hashtag che si sta diffondendo sul social network Twitter, #Jesuischarlie, sentiamo il dovere di gridare a gran voce che non saranno atti violenti e vigliacchi a fermare le nostre idee e le nostre opinioni. Quello che è successo oggi a Parigi riguarda il mondo intero, riguarda noi e la nostra libertà che non potrà mai essere soffocata e zittita, perché noi tutti dobbiamo e ci sentiamo Charlie.

07/01/2015
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