Inverno siriano: la guerra delle notizie

 

 

La primavera tarda ad arrivare in Siria. Quasi un anno di rivolta ha prodotto fra i 5mila e gli 8mila morti, a seconda delle fonti, e un plebiscito sulla nuova Costituzione che non stupisce nessuno. Secondo il New York Times, le manipolazioni dei voti non sarebbero nemmeno state necessarie: l’opposizione siriana sarebbe a pezzi, permettendo a un trionfante Al-Assad di gloriarsi dell‘89% dei votanti a favore del nuovo ordinamento. In particolare, la votazione sarebbe stata indetta per sostenere dall’interno le posizioni di Russia e Cina – il cui veto sul non-interventismo da parte delle forze internazionali dava una improbabile fiducia alla presunta moderazione dell’attuale presidente. Le speranze riposte nella maggiore mitezza di quest’ultimo, se confrontato con il padre Hafez, si sono sgonfiate davanti ai morti di questi mesi. A conti fatti, la nuova Costituzione ne preserva il potere ancora a lungo: il limite a due mandati di governo – che durano sette anni – scatterà solo alla fine del mandato corrente. Dal momento che Bashar è in carica dal 2000, gli ulteriori 16 anni che gli spettano di diritto limiteranno il suo potere a 28 anni – soli due anni in meno di quello del padre. 

 

La caratteristica emergente di questa, ormai, guerra civile, è il ruolo dei mezzi di comunicazione. Per una volta è impossibile rimproverare ai giornali di essere autoreferenziali – le informazioni stanno uccidendo. Un articolo dei giorni scorsi della Columbia Journalism Review sottolinea come, rispetto al racconto delle rivolte in Egitto (“exhilaratingly accessible”) o in Libia (“mortalmente pericoloso”), la Siria sia semplicemente off-limits. Chi ha deciso di esserci ciononostante non è tornato a casa, come Marie Colvin e Anthony Shadid. Gli altri devono districarsi in una nebbia di telefonate con contatti locali, voci contrastanti e centinaia di video pubblicati su YouTube. Questa generale foschia narrativa permette casi di strumentalizzazioni estreme, come quella del misterioso Syrian Observatory for Human Rights.

 

Secondo la BBC, si tratta di un piccolo organismo di opposizione con base a Londra e contatti in Siria. Composto da circa 240 membri operativi, è un’essenziale fonte di notizie per gli impotenti cronisti occidentali. Il dato di 7mila morti citato dalla maggior parte dei mass media deriva dalle loro rilevazioni. Così come le – documentate – violazioni dei diritti umani, che hanno portato le Nazioni Unite ad accusare il governo siriano di crimini contro l’umanità, con un report di 72 pagine uscito lo scorso 23 febbraio. 

 

Peccato che, secondo fonti siriane, questo organismo semplicemente non esista. Il blog SyriaNews, riprendendo un’agenzia, sostiene che l’indirizzo indicato dagli organizzatori non sia altro che un negozio di vestiti. E che abbiano declinato ogni contatto con i diplomatici russi, dimostrando così di non avere credibilità. Questa informazione, data da un sito che definisce pretestuose le accuse dei Paesi occidentali nei confronti del governo, non ha di per sé molto valore. Ma ne acquista, se si ritrova la seguente dichiarazione del portavoce russo Alexander Lukashevich, riportata anche dal sito dell’ambasciata russa nel Regno Unito, sull’argomento: “Secondo le informazioni disponibili, ci sono solo due persone (il responsabile dell’agenzia e il suo interprete) che lavorano nell'”osservatorio”. E’ gestito da un Rami Abdulrahman che non solo manca di istruzione in giornalismo o legge, ma addirittura di qualsiasi educazione superiore. […] E’ proprietario di uno snack-bar. Il fatto che i rappresentanti dell'”osservatorio” evitino ogni contatto con i nostri diplomatici sembra altrettanto sospetto. Secondo la mia opinione, questi fatti in sé dimostrano che le informazioni fornite da questo organismo non sono affatto affidabili.”

 

La manipolazione delle informazioni raggiunge così l’alta diplomazia – come ricordato sopra, il veto di Cina e Russia sono stati fondamentali per permettere che la repressione continuasse a portare lutto in Siria. E, dal basso, frammenta l’opposizione con dubbi indotti, concedendo a Bashar Al-Assad una fiducia che non merita. 

 

28/02/2012
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