Intervista a Mario Botta

Nato il 1 aprile 1943 a Mendrisio, Ticino. Dopo un periodo
d’apprendistato presso lo studio degli architetti Carloni e Camenisch a Lugano,
frequenta il liceo artistico di Milano e prosegue i suoi studi all’Istituto
Universitario d’Architettura di Venezia, dove si laurea nel 1969.La sua attività professionale inizia nel 1970 a Lugano. Realizza le prime case
unifamiliari nel Canton Ticino e successivamente numerosi progetti in tutto il
mondo. Da sempre impegnato in un’intensa attività didattica, nel corso degli ultimi
anni si è attivato come ideatore e fondatore dell’ accademia di architettura di
Mendrisio Il suo lavoro è stato premiato con importanti riconoscimenti internazionali.
Tra le sue realizzazioni è da ricordare la chiesa del Santo Volto a Torino.

La chiesa è stata pensata all’interno della “spina
3″, ovvero quella parte del comune di Torino compresa tra i quartieri San
Donato, Parella e Madonna di Campagna.
Essa è ubicata fra Via Val della Torre e Via Borgaro.
Per la sua collocazione baricentrica nell’area interessata,
ha dettato le linee portanti dell’idea progettuale con la proposta di un
intervento a forte carattere monumentale.
È una presenza che non risulta certo indifferente al tessuto
urbano dell’intorno, andando a caratterizzare l’assetto architettonico e
urbanistico della città. Un tessuto fatto di alti
palazzi, centri commerciali, un futuro parco. Intorno al complesso – 12 mila
metri quadrati: 2300 di chiesa (700 posti), 2500 di sala polivalente
sotterranea (700 posti), 2700 di Curia – sono cresciute e stanno crescendo case
per 12 mila abitanti. La parrocchia ne avrà in tutto 15 mila.
La chiesa ha l’aspetto di un ampio ingranaggio.

L'”ingranaggio“,
immagine evocativa della memoria industriale, una costruzione a pianta centrale
e circolare, con otto torri disposte a 360 gradi. In ognuna di esse cadrà una
luce che cambierà nelle diverse ore della giornata, quasi ad accompagnare lo
scorrere del tempo nella liturgia.

Vista dall’esterno, la struttura sembra scomposta in corpi
separati: sono le otto torri, alte 35 metri, che terminano nella trasparenza
del vetro e sono circondate da una corona di corpi più bassi.

Le torri sono un simbolo della ricerca di risposte dell’uomo verso
l’alto.

E la Torino del lavoro celebrata
nella ciminiera-campanile, ritorna nel parroco don Beppe Trucco, che
aveva lavorato per anni in una delle fabbriche della zona, prete-operaio per
volontà del cardinale Pellegrino. Era un’altra epoca, un’altra città. Oggi il
Santo Volto, lo ha detto il suo autore, il celebre architetto contemporaneo Mario Botta, «è servizio religioso, luogo
di aggregazione, elemento di cucitura del tessuto urbano».

Il Santo Volto ospiterà anche i nuovi uffici della Curia
Metropolitana e un auditorium con sala congressi aperto alla città.

L’opera intera è costata 30 milioni di euro:
12 della Diocesi, 6,5 della Fondazione
Crt, 5 della Compagnia di San Paolo, 5 della Regione. Il resto è venuto dal
ministero delle Finanze, da Arcus, Cei, Iride, famiglia Gavio (è stata la
società Itinera, già Grassetto, a realizzare i lavori).

Con quest’opera la città di Torino mostra la propria voglia
di nuovo e di bello, ma soprattutto il desiderio di rinnovarsi e dotarsi di
segni forti e connotanti, anche in vista delle Olimpiadi Invernali 2006. Si
tratta di un plusvalore importante per una città che non vuole essere soltanto
dotata di servizi, ma desidera crescere all’interno e acquisire un’identità più
forte anche sul piano estetico. «Questa chiesa è riuscita, è un gioiello che doniamo ai torinesi. Non
importa se qualcuno dice che all’esterno è strana»,
ci ha detto Poletto.

Qualche domanda all’architetto Mario Botta:

È passato quasi un anno
dall’inaugurazione della Parrocchia del Santo Volto, ha qualche riflessione da
fare a posteriori?

“La riflessione è
quella che aspetto ancora che la viabilità intorno sia ultimata. Il sistema di
accesso non esiste ancora. Oggi si entra in maniera “sbagliata”. Questo
complesso non è ancora fruibile nella sua struttura urbana per come è stato
pensato. Aspetto che assuma la sua configurazione definitiva”.

La Parrocchia
sorge in quello che si può definire un quartiere “di frontiera”, dove un tempo
c’erano le fabbriche e il lavoro. Secondo lei il sacro è la risposta alla deintustrializzazione?
Da solo non
può esserlo evidentemente. Il destino di queste aree obsolete, di queste aree
ex industriali è quello di trovare a poco a poco una loro collocazione. In
questo caso mi sembra che l’innesto di zone residenziali con le zone del
lavoro, penso al Piero della Francesca, funzioni, che sia una riposta
possibile. Non può essere solo una struttura del sacro a riempire gli spazi
lasciati vuoti dal lavoro”.

E dell’architettura che
circonda la Chiesa
cosa ne pensa?

“Ho un’opinione critica.
Perché mi sembra che il prezzo che si debba pagare sia alto. Portare i
cittadini a vivere dentro delle caserme non è la siuazione migliore per una
zona residenziale”.

Cosa ne pensa dello
sviluppo urbanistico di Torino e della querelle sulla “forma grattacielo”?
“Non si può
fare una querelle su una questione di principio sul “grattacielo” in quanto
tale. Di volta in volta è necessario capire se il costruire in altezza può dare
dei benefici anche al suolo o se il grattacielo non aggiunge qualità allo spazio
di vita. In questo caso penso sia meglio non farlo. Non si può dare un giudizio
teorico. Dipende sempre se è ben fatto o mal fatto. E non mi riferisco solo al
manufatto ma anche al rapporto che il manufatto stabilisce con il tessuto umano
circostante”.

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12/02/2008
Articolo di