Il clan

Durante gli anni della sanguinosa dittatura militare in Argentina (1976-1983), la famiglia Puccio, il cui patriarca è Arquimedes (Guillermo Francella), conduce una vita apparentemente tranquilla: mamma, papà e cinque figli, di cui uno in Nuova Zelanda. Tuttavia, sotto la calma della superficie, Arquimedes organizza sequestri di persona, spesso di giovani rampolli di famiglie ricche, con l’aiuto di alcuni complici, compreso il figlio maggiore Alejandro, promessa sportiva del rugby locale.

La vicenda, tratta da una clamorosa storia vera nota in Argentina come “il caso Puccio”, si ambienta negli ultimi anni della giunta militare, dopo il disastro bellico della guerra con gli inglesi per le Falkland (1982). Nell’anno successivo, ritornata la democrazia, vengono progressivamente a mancare le protezioni in alto loco di cui godeva Arquimedes, fino all’inevitabile arresto di tutta la famiglia e gli alterni epiloghi giudiziari, di cui siamo informati nei titoli di coda.

Film feroce e amarissimo, non giudica e lascia aperti gli interrogativi morali: si può non accorgersi (o fingere di farlo) della mostruosità dei propri vicini di casa, come succede ad amici e conoscenti dei Puccio? E’ il contesto della dittatura che livella il male e lo rende ordinario, banale (Hannah Arendt!) e quasi invisibile? Può una famiglia scivolare nell’orrore, continuando a far finta di nulla? A parte Arquimedes (una straordinaria interpretazione di Francella!), tutti gli altri sono sfiorati dai dubbi e divorati da rimorsi. Eppure continuano a rimanere immersi, nella grigia violenza della propria vita.

Sceneggiatura ben oliata, evidenti i meriti tecnici della pellicola, funzionale e dissacrante uso delle musiche, in molte scene truci.

Leone d’argento a Venezia 2015, per la miglior regia.

27/08/2016
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