Il caso Germania e l’Agenda 2010 di Shroeder

Un articolo del Professor Riccardo Calcagno 

Con la sorpresa di alcuni e la triste consapevolezza di tanti altri, la crisi economica iniziata con i crack finanziari del 2008 non accenna a finire. Tra i politici si sono aperti dibattiti in Italia e all’estero su quanto fosse vicina la fine del tunnel, ma la verità è che questa non è una crisi congiunturale dovuta a qualche squilibrio passeggero, ma una vera e propria crisi di sistema dell’Europa, a sua volta immersa in una congiuntura mondiale non magnifica. Ma mentre gli Stati Uniti e la Cina sembrano dare segni di ripresa, il grande malato dell’economia mondiale è sempre più l’area Euro, o almeno gran parte di essa, perché di fronte a una chiara perdita di competitività di Francia, Italia e Spagna c’è una crescita sostenuta della Germania. E questo fa sì che a sua volta gli investitori mondiali si preoccupino sempre di più dei debiti di questi paesi “lumaca”.

Come si trasforma una lumaca in uno scattante grillo[1] che crea lavoro, benessere e ricchezza? Purtroppo quando vengono poste questo tipo di domande gli economisti capiscono che, in fondo, non sanno (purtroppo, mi permetto di dire: non sappiamo) la risposta con certezza.

Una possibile ispirazione  è l’esperienza di un paese la cui economia si è trasformata in un bolide ben performante da lumaca che era 20 anni prima, la Germania appunto. E all’origine del “miracolo economico” tedesco di questo ultimo decennio potrebbe esserci la “Agenda 2010” che Gerhard Schröder propose nel 2003, e che poi costò ai socialdemocratici tedeschi la sconfitta nelle elezioni nazionali per quasi un decennio. Detto per inciso, a questa stessa agenda si è ispirato il governo Monti in alcune delle sue riforme economiche strutturali, e anche Monti ne ha ricavato una sconfitta elettorale.

Ma cosa conteneva l’Agenda 2010 di Schröder? E’ stata veramente questa riforma la chiave del successo economico tedesco? Possiamo quindi ispirarcene per far uscire l’economia italiana dal suo coma profondo in cui versa?

Nell’Agenda, e in particolare della sua parte finale e più importante, chiamata Hartz IV, c’erano (1) la riduzione dei sussidi di disoccupazione da 32 a 12 mesi, (2) l’agevolazione al licenziamento per alcune categorie di lavoratori, (3) una riduzione dei contributi sociali e di disoccupazione, (4) la possibilità di combinare sussidi di disoccupazione con lavori part-time e/o a basso salario. Una riforma del mercato del lavoro, quindi, tesa a facilitare i licenziamenti, e ad aumentare gli incentivi per i disoccupati a trovare un nuovo lavoro. Non mi spingo a difficilissimi confronti con la recente riforma Fornero, ma per dare un’idea sommaria, Hartz IV non sembra certo più generosa della riforma Fornero nei confronti dei lavoratori, anzi.

Cosa possiamo dire degli effetti di Hartz IV? Tutti gli indicatori concordano sul fatto che queste riforme abbiano migliorato la competitività delle aziende tedesche. Fatto 100 un indice di costo del lavoro per unità di prodotto[2] nel 2005, questo indice aumenta senza sosta fino al 2011 in Italia, Francia e Spagna, mentre in Germania si riduce fino al 2008; nel 2011 vale 104 in Germania, circa 112 in Italia e Francia e 110 in Spagna. Se prima dell’introduzione dell’Euro queste differenze venivano assorbite da svalutazioni delle monete nazionali, da quando l’Euro esiste questo non è più possibile. Le imprese italiane e degli altri paesi del sud Europa si trovano quindi a sopportare costi superiori a quelle delle loro concorrenti tedesche, perdono quote di mercato e occupati. Ho sentito dire in modo efficace che “il debito greco finanzia le vendite di BMW e Mercedes” riferendosi al fatto che i consumatori del sud Europa, il cui potere d’acquisto è mantenuto artificialmente alto creando debito pubblico, consumano beni tedeschi, spesso di alta gamma.[3]

L’unico modo di uscirne per i paesi come l’Italia sembra quindi di ridurre a loro volta il costo del lavoro, una specie di rincorsa della Germania a ridurre i salari. Questo alimenta le critiche alla Agenda 2010, che in pratica si riassumono nel fatto che questa è solo un primo passo verso la riduzione delle tutele dei lavoratori che si allargherà a macchia d’olio attraverso l’Europa. Rimane il fatto che essa ha indiscutibilmente contribuito a rilanciare la competitività delle imprese tedesche, cosa di cui ora le imprese italiane hanno assoluto bisogno. E qui passiamo al terzo interrogativo, e cioè come può l’Italia ispirarsi a questo pacchetto di riforme?

Come suggerisce lo stesso Gerhard Schröder, la riduzione del costo del lavoro è forse ineluttabile per aumentare la competitività delle imprese. E questo è vero anche per l’Italia nel medio periodo. Ma allo stesso tempo i governi europei devono gestire gli squilibri all’interno della zona Euro che riforme a diverse velocità implicano. Altrimenti, forzatamente, gli Stati meno competitivi, privati della possibilità di svalutare la loro moneta, saranno costretti ad uscire dall’unione monetaria, il che costerebbe loro un prezzo anche sociale molto più elevato.[4] Secondo l’ex primo ministro tedesco, le riforme del mercato del lavoro devono essere accompagnate da meccanismi di sussidiarietà vera all’interno dell’area Euro, esattamente come succede negli Stati Uniti, o nella stessa Repubblica Federale Tedesca. E inoltre devono impedire che gli imprenditori abusino del sistema, ottenendo in pratica lavoro a costo esosamente basso visto che i disoccupati sarebbero costretti ad accettare anche contratti poco remunerativi per via dei ridotti sussidi di disoccupazione. Per impedire che questo avvenga, Schröder propose un reddito di base che il lavoratore riceverebbe in quanto disoccupato ma che manterrebbe per un certo periodo anche se occupato. Ovviamente, questo reddito dovrebbe essere finanziato a livello federale europeo, visto che paesi altamente indebitati come l’Italia non potrebbero permetterselo. Insomma, non si può avere una moneta unica senza un budget federale unico. Se l’Italia deve rendere il mercato del lavoro più moderno ed efficiente e fare i famosi “compiti a casa”, l’Europa dell’Euro deve cambiare regole altrimenti non ha altro destino che non quello di spezzarsi. Con gravi perdite per tutti, nel nord e nel sud del continente.

 


[1] Il riferimento è ovviamente al simpatico insetto, visto che in questi miei interventi cerco, per quanto più possibile, di non fare nessun accenno alla politica quotidiana italiana.

[2] Indici calcolati dall’OCSE, vedi: http://stats.oecd.org/Index.aspx?DatasetCode=ULC_ANN

[3] Tra l’altro, bisogna tenere conto del fatto che questi trasferimenti tra paesi provocano anche un aumento dell’ineguaglianza in Germania, dove i salari e le protezioni dei lavoratori scendono mentre i profitti delle imprese salgono.

[4] Nonché una quasi certa recessione alla stessa Germania.

04/04/2013
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