Il Brasile a lezione di Antimafia

 

Un attacco frontale allo Stato. E´ quello che la mafia di Rio de Janeiro ha scatenato l´11 agosto scorso, quando il magistrato Patricia Accioli, 47 anni, venne barbaramente assassinato con 21 colpi di pistola sotto la sua abitazione.

 

Un episodio che ricorda gli anni più bui della Repubblica italiana e che ha convinto Walter Fanganiello Maierovitch, magistrato brasiliano e presidente dell´Istituto Giovanni Falcone di San Paolo ad invitare in Brasile il procuratore generale della Corte d´Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, per una lezione sull´antimafia.

Sapete perché Accioli è morta? Perché lo Stato le ha negato la scorta e l´ha lasciata sola” si è sfogato Maierovitch. “La storia di Patrícia Accioli ricorda quella di diversi magistrati italiani – ha aggiunto Scarpinato – Come diceva Giovanni Falcone, ‘si muore perché si è lasciati soli o perché si entra in un gioco troppo grande’”. E il magistrato carioca era entrata da sola in un gioco più grande di lei: da molti anni combatteva le milizie, gruppi paramilitari che controllano molte favelas di Rio de Janeiro attraverso il narcotraffico, l´intimidazione e il voto di scambio. Un commandos di poliziotti corrotti l´ha freddata dopo che le sue indagini avevano portato all´arresto di decine di agenti delle forze dell´ordine.

Dal 2006 indago sul traffico internazionale di stupefacenti, abbiamo sequetrato 4,5 miliardi di euro – ha spiegato ScarpinatoDa allora vivo con una scorta di cinque carabinieri 24h su 24”. Il magistrato italiano, che ha preso parte a processi eccellenti della storia italiana, da Andreotti a Bruno Contrada, ha poi tracciato il filo rosso che lega Italia e Brasile: “Storicamente in entrambi i paesi c´è stata la violenza di alcuni settori per mantenere i privilegi di una minoranza a discapito della maggioranza. Entrambi i paesi hanno poi vissuto l´esperienza di una brutale dittatura e anche l´attuale democrazia è continuamente minacciata”.

 

Scarpinato ha peró elencato i punti di forza della democrazia italiana: la “Costituzione antifascista”, la “sottrazione del potere giudiziario dall´esecutivo”, le “forze dell´ordine fedeli allo Stato” ed anche “milioni di italiani onesti che hanno difeso la magistratura dagli attacchi politici”.

Il giudice ha poi ricordati i nomi dell´ex sottosegretario Nicola Cosentino, dell´ex ministro Saverio Romano, di Marcello Dell´Utri e di Salvatore Cuffaro: “I magistrati fanno il loro dovere e condannano i politici, ma poi la politica li porta lo stesso in Parlamento”.

 

Alessandra Dino, professoressa di sociologia dell´Università di Palermo ha invece tracciato il profilo della mafia nell´era della globalizzazione: “Qualcosa è cambiato. Adesso il controllo dei flussi di denaro si è spostato nel settore della sanità e del ciclo dei rifiuti. L´organizzazione è diventata un sistema, un network di relazioni tra molti attori sociali, dalla politica all´economia, e che influenza pesantemente le regole della democrazia”.

Dino ha poi spronato la società civile brasiliana: “Non possiamo lasciare solo alla Giustizia la ricerca della verità, il paese deve sapere che ci sono giornalisti e studiosi che, appoggiati dalla buona politica e dall´economia pulita, portano avanti le indagini e fanno emergere altri pezzi di verità”.

Il Brasile ha bisogno – ha commentato Scarpinato – di un potere giudiziario che possa dirigire le indagini delle forze dell´ordine e di una legislazione speciale di contrasto alla mafia, pene severe e leggi per il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi. Non si può combattere il cancro con l´aspirina

Il modello italiano, già adottato da molti paesi europei e dagli Stati Uniti, “può essere utile anche per il Brasile” che storicamente è stato il rifugio di molti boss, da Tommaso Buscetta ad Antonio Salamone: “Siamo a conoscenza di nuovi investimenti della criminalità organizzata in Brasile, d´altronde questo è uno snodo fondamentale per il narcotraffico internazionale”.

Infine l´auspicio che il nuovo governo Montifaccia le leggi anticorruzione ormai divenute indispensabili”. “La corruzione ci costa 60 miliardi di euro all´anno, come due finanziarie. Se recuperassimo quei soldi non ci sarebbe bisogno né di patrimoniale, né di Ici né di altre nuove tasse per uscire dalla crisi”.

24/11/2011
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