“I colpi sono vicini, ma tranquillo che non succederà niente”

Condividiamo con tuttɜ voi la testimonianza e le riflessioni di Gabriele, membro del consiglio direttivo di Acmos, che ha deciso di concludere il 2023 proprio come lo ha iniziato: al fianco dellɜ civili ucrainɜ rimastɜ sul territorio colpito dal conflitto.

 

“Ho iniziato il 2023 nel rifugio antiaereo allestito nello scantinato di una chiesa evangelica di Mykolayv, l’ho finito nello stesso posto, al fianco di tanta gente conosciuta in questi mesi di viaggi e carovane, persone con cui si è costruito un legame di fiducia e che ormai sono diventate amiche. Questo percorso è stato portato avanti con e grazie a Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace presente in diverse zone di conflitto nel mondo, con un semplice obiettivo: se è vero che la vita di tutte le persone ha lo stesso valore, se è vero però che viviamo in un mondo in cui spesso le persone pensano a mettere al sicuro prima di tutto la propria vita, la propria libertà, la propria incolumità dando agli altri ciò che avanza, allora la prima cosa da fare per smarcarsi dal senso di impotenza è andare a condividere la vita con le persone che senza averlo scelto si trovano incastrate nella guerra e nella violenza sistematica. Perché se c’è una strada per la pace quella strada va trovata con le persone che sono immerse fino al collo dentro la guerra. I volontari della Colomba vivono in Ucraina dall’inizio del conflitto in maniera continuativa.

 

Ad aprile 2022 ACMOS ha aderito alla rete Stop The War Now partecipando all’evacuazione di centinaia di famiglie e persone con disabilità da Leopoli, da lì abbiamo continuato ad esserci facendo la nostra parte tra Mykolayv e Kherson, città situata sul fronte meridionale del conflitto, occupata dalle forze russe fino a novembre 2022.

Lontana dagli slogan, dalle opinioni e dagli articoli di giornale la guerra continua ad andare avanti, come tantissime altre nel mondo, con il suo carico di disperazione, incertezza e morte sullo sfondo di un apparente normalità. 

Pochi vogliono andare a combattere, molti hanno paura di ricevere il “ticket to war” per strada ed essere arruolati, nessuno vuole morire, la maggior parte delle persone è stanca ma vuole che l’esercito russo se ne vada ed esprime volontà di resistere, oltre che rabbia e talvolta odio nei confronti del nemico. 

L’operato di Zelensky e il sistema politico ucraino sono criticati, la propaganda di incitamento alla guerra e all’odio è visibile e stucchevole, ma aldilà di questo molte persone, anche coloro che in passato si sono sentite vicine alla Russia, in questo momento provano dolore e sentono forte il sentimento d’appartenenza all’Ucraina. Si sentono vittime di un’ingiustizia, hanno visto distrutte le scuole e gli ospedali, morire gli amici al fronte, la povertà aumentare, l’economia crollare, le persone costrette a lasciare le loro case. La storia dell’Ucraina è una storia complessa, sicuramente sono presenti delle ombre, ma niente può giustificare questa invasione e i drammi che ne conseguono. 

L’attenzione mediatica sta scemando e la paura delle persone che vivono qui è di essere presto dimenticate. Le sirene ormai sono un concerto costante che non desta nessuna conseguenza sulle faccende quotidiane delle persone, così come le notizie dei bombardamenti. Le scuole continuano ad essere chiuse e non possono riaprire senza uno “shelter” -rifugio- in cui potersi riparare, continua ad esserci il coprifuoco e più ci si avvicina al fronte più la situazione è visibilmente complicata.

 

Nel tragitto tra Mykolayv e Kherson, attraversabile solo con appositi documenti per superare i check-point militari, si trova la piccola cittadina Posad-Povrovs’ke. Il paese era situato sulla vecchia linea del fronte ed è stato teatro di aspri combattimenti, la strada statale per arrivare a Kherson passa attraverso le sue case e i suoi supermercati. Lo scenario è lugubre e inquietante: quasi ogni casa è stata colpita ed è senza il tetto, i negozi e le stazioni per il rifornimento sono distrutte. Vista da fuori è una città fantasma. Solo le stazioni degli autobus sono state ricostruite nuove di zecca, segno che la vita si sta riprendendo il suo spazio.

 

A Kherson il ritmo costante dei colpi d’artiglieria e dei bombardamenti è la colonna sonora di un film che ho sempre e solo visto dentro da uno schermo, ma d’improvviso è la realtà e soprattutto ti accorgi che è la vita quotidiana di migliaia di persone. Non che servisse cascarci dentro per prenderne coscienza, ma l’idea di una cosa è diversa da come risulta, soprattutto in relazione all’umanità che ne è divorata. Negli ultimi giorni è morto un ragazzo di 11 anni, uno di 9 è in terapia intensiva, un bambino è rimasto ucciso e 7 feriti nelle zone residenziali del centro città dopo 31 colpi. Altri due civili sono morti nei bombardamenti del 7 gennaio.

I giornali europei parlano del conflitto, seppur meno di quando è iniziato, gli aiuti continuano ad arrivare, anche se i numeri sono in calo, ma l’assenza fisica della comunità internazionale a fianco delle persone che vivono a pochi km dal fronte è preoccupante. Donare e inviare beni è importante, ma manca un pezzo fondamentale se l’obiettivo è più grande: esserci.

Sia a Mykolayv che a Kherson ci appoggiamo e siamo ospitati da una comunità di persone che fa riferimento alla chiesa evangelica. La Dom Culture che gestiscono a Kherson è stata distrutta da tre droni a luglio, ha preso fuoco, ha perso il tetto e diverse sale. I villaggi limitrofi sono stati inondati dalla distruzione della diga di Nova Kakhovka. In questi mesi molte persone si sono rimboccate le maniche per sistemare le case, spalare il fango, ricostruire la casa della cultura senza smettere di organizzare e distribuire pacchi alimentari e aiuti di prima necessità. Nonostante la guerra non sia finita la casa della cultura è di nuovo utilizzabile e sono riusciti a celebrare la funzione di Natale al suo interno. 

 

Durante i nostri giorni di permanenza in città abbiamo aiutato la comunità del centro per una grande distribuzione di pacchi alimentari. La notizia della distribuzione dei beni è stato fatto passare in privato attraverso un google form e non sui social, per evitare di essere localizzati e colpiti come successo ad un altro centro di distribuzione il 31 dicembre. I beni distribuiti erano molto semplici e scomodi da ritirare: un pacco enorme di riso, salviette, dentifricio, shampoo. Mi ha impressionato il numero di persone che sono arrivate riempiendo l’atrio, segno di una povertà dilagante.

Le  notti le abbiamo passate a casa di Sasha e Vika, una coppia di giovani che accoglie persone che hanno bisogno di un posto in cui stare per periodi brevi. Con loro abbiamo condiviso le serate e le cene entrando in relazione e confrontandoci su molti aspetti della vita in città, come spesso capita di fare a Mykolayv nel rifugio. La prima sera loro erano ancora a Kyev per una visita ai parenti, in casa c’era Maksym, un ragazzo di 15 anni, lì per aiutarci a tenere accesa la caldaia. Tre colpi sono stati più violenti e apparentemente vicini e abbiamo scelto di stare per un paio d’ore nel corridoio. Maksym nel vederci reagire in quel modo rideva e restava sul divano. Alle nostre domande, poste usando il traduttore, rispondeva “E’ vicino ma non succede niente” “Piuttosto devo trovare il gatto altrimenti la padrona di casa mi ammazzerà”. I colpi dei giorni successivi non sono mai stati così spaventosi, ma quei colpi da qualche parte saranno pur caduti e avranno spaventato se non ferito o ammazzato. Un ragazzi di 15 anni non dovrebbe vivere in queste condizioni, abituandosi al rischio, normalizzando la paura generata da un mondo distorto, non potendo andare a scuola.

 

La guerra è una montagna di merda, la violenza genera altra violenza, ma solo stando a contatto con le persone e con il contesto si può comprendere la complessità delle situazioni. Che poi alla fine è tutto molto semplice: finché ci saranno vite di serie A e di serie B, finché qualcuno si arrogherà il diritto di decidere per gli altri e di accumulare soldi, potere e risorse, finché ci saranno povertà, prevaricazione e disuguaglianza, allora ci sarà la guerra.

Dall’Ucraina alla Palestina, dal Sudan al Myanmar, dalle persone costrette a migrare a quelle che vengono minacciate dalle mafie, non dimentichiamoci di loro e facciamo la nostra parte per costruire un mondo in cui nessuno venga lasciato indietro.”

 

Gabriele Gandolfo

10/01/2024
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