Foxtrot

Israele, giorni nostri. Tre soldati in divisa si presentano in casa di Michael (Lior Ashkenazi), architetto sposato e con figli, per annunciare la morte del primogenito Jonathan, che presta servizio militare. Michael cerca di sopportare il dolore, ma non sa come reagire, anche di fronte alla burocrazia stupida dell’esercito, con le sue pratiche funerarie. Poi, all’improvviso, il dubbio che Jonathan non sia morto sembra risollevare la situazione, ma Michael è persuaso a voler riavere il figlio a casa e scomoda le sue conoscenze. Le conseguenze saranno imprevedibili.

Scandito da tre capitoli, con il secondo che racconta la quotidianità di Jonathan al checkpoint in mezzo al nulla, con altri commilitoni, il cibo in scatola e la pioggia e umidità costanti, mentre l’ultimo è l’epilogo della vicenda che ricostruisce i nodi irrisolti, anche nel passato. “Foxtrot” è il nome del piccolo appostamento nel deserto, dei giovani soldati, ma anche un ballo, che viene rievocato in ogni capitolo.

Samuel Maoz, che aveva raccontato l’invasione del Libano con il film “Lebanon”, qualche anno fa, firma una pellicola difficile da classificare: mescola il grottesco e il dramma, le metafore sottili con trovate quasi oniriche. Ashkenazi strepitoso nel disegnare il suo personaggio (doppiato con efficacia in italiano da Gioele Dix!).

Critica non unanime nel giudicarlo, secondo premio al Festival di Venezia, può suscitare pareri discordanti. Vale i soldi del biglietto, pienamente!

24/03/2018
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