C’era una volta la Fiat

fiat diventa fca

 

Continua la rubrica del Centro Studi con un articolo di Luca Pagano sul futuro della Fiat

Il 29 gennaio 2014 si è concluso il percorso di acquisizione da parte di Fiat della totalità del pacchetto azionario del gruppo americano Chrysler. Dalla fusione dei due gruppi è nata la compagnia globale Fiat Chrysler Automobiles, con sede sociale in Olanda e sede fiscale nel Regno Unito. Si chiude così anche simbolicamente l’era in cui Fiat era il maggiore gruppo industriale italiano, con cuore e radici a Torino. In realtà il disimpegno dall’Italia e da Torino è un percorso che il management dell’azienda ha avviato da tempo: le fabbriche più produttive del gruppo si trovano in Polonia, Brasile e Turchia, mentre lo stabilimento simbolo di Mirafiori, che un tempo ospitava decine di migliaia di lavoratori, conta oggi poco più di 5000 operai, da anni in cassa integrazione.

 

 

Perché ci interessa parlare della vicenda Fiat

La complessa strategia dell’ a.d. Sergio Marchionne, affiancato da John Elkann, erede della famiglia Agnelli azionista di maggioranza del gruppo, scommette quindi sul mercato nordamericano e su un’impresa globalizzata. In questo quadro, l’Italia conserverebbe un ruolo con la nascita di un polo del lusso che produrrà auto di alta gamma rilanciando i marchi Alfa e Maserati.

La Fiat è stata per tanti anni il complesso produttivo italiano più importante e conosciuto. Riflettere sulle vicende che la riguardano può essere uno specchio utile per capire, di riflesso, che cosa sta attraversando il nostro paese: quali trasformazioni viviamo, quale visione ha la nostra classe dirigente, quale futuro ci attende?

 

 

Le reazioni della politica

All’annuncio della nascita del nuovo gruppo internazionale con spostamento della sede, la reazione della politica è stata in gran parte ottimista. Il sindaco di Torino Piero Fassino si è detto orgoglioso che la Fiat rinasca in una forma globale e rinnovata, e scommette sul fatto che l’Italia conserverà un ruolo importante, senza la perdita di posti di lavoro.

Anche l’ex sindaco di Torino e candidato alla presidenza della regione Piemonte Sergio Chiamparino, pur riconoscendo che le trasformazioni in corso sanciscono la fine della simbiosi tra Torino e Fiat, evidenzia le opportunità offerte dal nuovo assetto dell’azienda e apre alla possibilità che nel territorio torinese si insedino nuovi produttori.

 

I commenti

Molti commentatori hanno però sollevato dubbi sull’operazione Fiat-Chrysler e hanno denunciato il ruolo subordinato e marginale giocato dalla politica italiana nella gestione del processo.

Il sociologo Luciano Gallino, in un intervista all’Espresso, ha sottolineato come la crisi produttiva dell’Italia, di cui il disimpegno della Fiat è la manifestazione più evidente, sia avvenuta soprattutto a causa della mancanza di politiche industriali che sappiano governare e indirizzare gli investimenti economici.

Sulla stessa falsariga Barbara Spinelli, secondo la quale il rilancio della Chrysler è potuto avvenire grazie al contributo decisivo, decisionale e finanziario, da parte del governo americano, che ha garantito un sostegno all’azienda consentendole di sfuggire alle pressioni puramente speculative dei mercati. Tutto questo è avvenuto in un paese tradizionalmente liberista e antistatalista come gli Stati Uniti; suona paradossale che l’Europa, il continente tradizionalmente identificato con il modello dell’economia sociale di mercato e più aperto ad un intervento statale nell’economia, sembra invece aver smarrito questa capacità di pianificazione (l’Italia ne è un esempio emblematico).

L’economista Luigi Zingales ha sostenuto invece che non bisogna colpevolizzare Marchionne se la Fiat decide di andarsene dall’Italia, ma riflettere sui motivi che rendono il nostro paese poco conveniente e poco attrattivo per le imprese, così come per i laureati di talento. Il nostro sistema è una “peggiocrazia” che invece di premiare i migliori li incoraggia ad andarsene, favorendo così lobbies e clientele. La Fiat ha perciò agito responsabilmente nell’ottica di preservare i propri interessi, come ogni impresa è tenuta a fare al di là dei legami storici o “sentimentali” che la legano a determinati luoghi (concetto più volte sottolineato dallo stesso Marchionne).

La vicenda Fiat ci interroga quindi sulle dinamiche di potere che attraversano il nostro presente, sull’impotenza che la politica spesso dimostra nel governare i processi, sui rischi e le occasioni offerte da un mondo globalizzato.

 

 

13/03/2014
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