Essere giovani oggi: sfiga o sfida?

 

 

“Se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato” il frammento della dichiarazione di qualche giorno fa del viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Michel Martone, ha sollevato polemiche da più parti. Quello che non si è detto è che l’affermazione era inserita in un discorso più ampio, nel quale il viceministro sosteneva come oggi il conseguimento del titolo non sia più un traguardo né una garanzia di successo: il mercato del lavoro cerca ragazzi giovani e qualificati, con alle spalle esperienze lavorative.

Al di là della critica che si può fare nella scelta del linguaggio, di certo non appropriato ad un ruolo istituzionale, le parole di Martone sono condivisibili. I giovani devono adattarsi al mondo e ai suoi cambiamenti, mettendosi in gioco e senza adagiarsi nella falsa sicurezza che la preparazione universitaria sia sufficiente per trovare un lavoro.

Ciò che si potrebbe controbattere è che se da una parte le imprese cercano giovani con esperienze e qualificazioni, dall’altra però non è così facile acquisirle. All’ingresso nel mondo del lavoro molto spesso i neolaureati devono passare dalla gavetta, da stage deludenti e non pagati, senza la tutela dei diritti sindacali.

All’affermazione di Martone si aggiunge quella di Mario Monti, ospite ieri sera a Matrix: «Che monotonia avere un posto fisso per tutta la vita». Anche questa dichiarazione ha suscitato parecchio scalpore, in particolare sul web. 

Al di là della polemica entrambe le dichiarazioni portano a una riflessione sul nuovo scenario lavorativo che giovani (e non solo) si trovano ad affrontare: la mancanza di certezze, la scarsità di contratti a tempo indeterminato e la precarietà. Condizioni che portano una insicurezza economica e che richiedono la capacità di riadattarsi, di sfruttare tutte le proprie abilità e competenze per rimanere a galla.

Interessanti a tal proposito alcuni elementi contenuti nella recente ricerca della Fondazione Agnelli sui nuovi laureati: secondo i dati l’Italia ha il più basso numero di laureati rispetto a USA, Gran Bretagna e Germania. La riforma del 3+2 ha permesso l’aumento del numero dei laureati e l’allargamento della base sociale oltre che la riduzione dei tempi nel conseguimento del titolo. La riforma ha anche generato una maggiore occupazione, tuttavia questa è più precaria rispetto a quella dei vecchi laureati. I numeri dicono anche che il vantaggio salariale rispetto ai non aventi titolo è minore rispetto a quello dei vecchi laureati e che le imprese hanno maggiore difficoltà a distinguere tra i diversi tipi di laurea.

Nonostante il difficile momento storico che rende complicato l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani laureati, non credo sia il caso di rassegnarsi e parlare di sfiga. Si tratta piuttosto di una sfida: la sfida di una generazione che deve essere capace di adattarsi alla società liquida di oggi, che non deve scoraggiarsi, che deve sentirsi protagonista e responsabile di un futuro possibile. Una generazione che deve acquisire consapevolezza che le sicurezze di ieri non sono più quelle di oggi, che il mondo sta cambiando e che bisogna essere capaci di cambiare insieme a questo.

 

 

Chi sono e che lavoro trovano i nuovi laureati? (La ricerca della Fondazione Agnelli)

02/02/2012
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