Educazione siberiana

 

 

C’era una volta la criminalità con un’etica. I siberiani, ghettizzati da Stalin nel sud ovest della Russia, uomini con un loro codice particolare di comportamento: violenti fino all’omicidio, ma che disprezzano la droga e soprattutto gli uomini in divisa, qualunque essa sia. Salvatores porta sul grande schermo il romanzo di successo omonimo, scritto da Nicolai Lilin e pubblicato da Einaudi in Italia. La storia è quella del giovane Kolima, cresciuto dal nonno Kuzja (John Malkovic), nel culto della tradizione. Dall’adolescenza, in cui insieme a tre amici, angeli con la faccia sporca, muove i passi in un mondo feroce e in una comunità di forte carattere identitario, passando per la scelta di diventare tatuatore,  fino alla decisione, apparentemente contraddittoria, di arruolarsi nell’esercito, dando la caccia ai terroristi. Il film alterna, dopo la premessa sull’infanzia del protagonista, episodi di vita quotidiana, fino a svelare il motivo della scelta di Kolima, di diventare soldato. 

 

Salvatores ha una perizia notevole, dietro la cinepresa e innegabile è la resa degli interpreti: cast tutto lituano di giovani attori, su cui si impone il veterano e bravissimo Malkovic, e fa macchia il tatuatore di Peter Stormare. Musiche funzionali e una bella fotografia, che esalta le scene in esterno e i chiaroscuri più intimi, degli interni. Ma è la sceneggiatura che zoppica: Rulli e Petraglia, eminenti scrittori del nostro cinema, non trovano il modo di far decollare la storia, che alterna pagine riuscite (l’infanzia, il furto degli stivali, la scena liberatoria sulla giostra), a momenti sbiaditi (il passaggio in carcere, bello ma troppo stringato) e personaggi poco riusciti (la figura di Xenja non si riesce a inserire bene). Un film riuscito a metà, con ambizioni epiche soltanto mantenute in parte. La storia si congela, nella neve in cui si muovono i personaggi, e non scalda il cuore.

Peccato, anche se merita uno sguardo.

18/03/2013
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