E io dico no. Ogni notte ha un’alba

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E questa volta vale proprio la pena parlare di teatro: in scena al Piccolo di Milano, ormai da una settimana e ancora fino al 21 dicembre, c’è lo spettacolo “E io dico no. Ogni notte ha un’alba”, scritto da Nando dalla Chiesa e Marco Rampoldi, con la collaborazione di Paola Ornati. Si parla di mafia, soprattutto in Lombardia, ma non solo; il dato fondamentale, però, è l’unicità dell’ispirazione della pièce: nasce infatti dal corso di Sociologia della Criminalità Organizzata e dalle tesi degli studenti del corso stesso, sotto la guida del prof. Nando dalla Chiesa.

Ideato per essere rappresentato al teatro studio del Piccolo, con la sua non ordinaria struttura scenica, quasi un’arena dove pubblico e attori rischiano di mescolarsi, e infatti questa è una scelta della regia, in alcuni passaggi. Alcune citazioni letterarie (Manzoni, Cervantes, Virgilio, Calvino, Omero, Natoli e Lucrezio) indicano, con inquietante preveggenza per il tempo in cui furono scritte, similitudini impressionanti con il presente. Cinque attori in scena, a interagire o in solitaria, affrontano i temi della massoneria, l’affiliazione e i rituali, l’epoca dei sequestri di persona in Lombardia ad opera delle organizzazioni mafiose, e poi ancora l’Ndrangheta oggi, gli appalti e la movimentazione terra, il voto di scambio e la politica, le infiltrazioni nella sanità, gli omicidi, le operazioni di polizia e gli arresti degli ultimi anni. La mappa, anche fisica, costruita con un uso sapiente delle luci e della proiezione in scena, dell’Ndrangheta in Lombardia: una ragnatela intricata e fittissima, difficile da sciogliere, al punto da sembrare in maniera inquietante quasi ineluttabile, fin fisiologica, come le tenebre della notte. Ma il riscatto è affidato al monologo finale, di un protagonista senza nome, che in sé assomma tanti volti e tante storie dell’antimafia (Falcone, Ambrosoli, il generale dalla Chiesa, tra gli altri), a smentire l’inevitabilità del buio, a suggerire la speranza dell’alba, a spingere la notte più in là, direbbe Mario Calabresi.

Ogni tanto si parla di teatro civile, nel mondo della cultura e dello spettacolo, si scomoda la categoria degli “intellettuali”, anche nella lotta alla mafia, salvo poi dimenticarsi delle polemiche al vetriolo del passato (quella di Sciascia sui “professionisti”, ad esempio). Questo spettacolo, nel teatro che fondò Strehler nel dopoguerra, è la migliore risposta che si potesse dare: fonda la memoria col presente, l’impegno civico con la cultura accademica, il linguaggio del teatro con la necessità di divulgare e di sapere, la conoscenza come forma di resistenza civile.

Per chi può, per chi riesce: guardatelo. Qui tutte le informazioni.

 

11/12/2014
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