Dove va la Cataluña?

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di Anna Mastromarino – ricercatrice di Diritto Pubblico Comparato Università degli studi di Torino

Se è vero che la crisi economico-finanziaria degli ultimi anni ha operato come detonatore d’altra parte la propaganda nazionalistica ha trovato spazio per far risuonare la sua carica in battaglia: che indipendenza sia! Così, in Spagna, i catalani hanno sferrato un duro attacco all’unità politica e territoriale dello Stato intraprendendo la strada dell’indipendenza.

Le ragioni dell’attuale scontro aperto fra il Governo centrale e la Generalitat della Cataluña trovano origine nel giugno del 2010 quando, con la sentenza n. 31, il Tribunale costituzionale spagnolo aveva impresso un deciso giro di vite alle prospettive di ulteriore autonomia avanzate dal nuovo Statuto catalano approvato nel 2006. La decisione, destinata a divenire una pietra miliare nella definizione dello Stato delle autonomie spagnolo, rappresenta un punto di svolta rispetto alla precedente giurisprudenza costituzionale ed ha obbligato dottrina e politica a ripensare le dinamiche Madrid-periferia.

Il malcontento catalano, del resto, non tardò a manifestarsi. Il risultato elettorale del novembre 2010 è il primo atto politico di una lunga serie, che si concreta da subito nel fallito tentativo di negoziazione fiscale sostenuto dalla Generalitat con la risoluzione 737/IX del 25 luglio 2012 e nella celebrazione, l’11 settembre 2012, di una grande manifestazione popolare che raccoglierà, in coincidenza con la Diada, Dia nacional de Cataluña, migliaia di persone animate dal motto «Cataluña, nuovo Stato d’Europa».

Per i nazionalisti i tempi sembravano maturi per dare nuovo slancio al cammino indipendentista catalano: il 27 settembre 2012, la Generalitat approva una risoluzione, la n. 742/IX, di natura meramente programmatica con la quale si sottolinea, tenuto conto dei falliti tentativi di dialogo con Madrid, che è venuto il momento per la Cataluña di inaugurare una nuova fase politica nella quale venga definito e sancito una volta per tutte il suo diritto a decidere: ed è nella esplicita volontà di ottenere un “derecho a decidir” si concreterà, infine, il progetto referendario del novembre 2014.

Le elezioni del novembre del 2012, seguite allo scioglimento anticipato, strumentalmente voluto al fine di dare consistenza elettorale al progetto indipendentista, sembrano mostrare, invero, una flessione per quel che riguarda le forze di governo uscenti, Convergència i Uniò e Partito Socialista Obrero. Ma il dato non è fatto oggetto di riflessione: il Presidente Mas torna alla guida dell’esecutivo stringendo con Esquerra Republicana, un patto di governo che si fonda sulla manifesta volontà di indire al più presto una consulta affinché il popolo possa decidere democraticamente e liberamente sul futuro politico della Cataluña.

Le priorità dell’agenda della coalizione CiU-ER sono ben rappresentate dal primo atto approvato in seduta plenaria dall’assemblea legislativa catalana all’indomani della sua elezione: la risoluzione 5/X, con la quale espressamente si apre il processo per rendere effettivo il diritto a decidere della Comunità e nella quale di definisce il popolo catalano un soggetto politico e giuridico sovrano.

Seppure privo di effetti giuridici, l’atto non può essere sottovalutato dal punto di vista simbolico: non per nulla la risoluzione è stata impugnata dal Governo dinnanzi al Tribunal constitucional, ex art. 162.2 CE.

Difficilmente si può ricordare un momento in cui i rapporti fra Barcellona e Madrid sono stati più tesi: lo scontro si è ridotto ad un piano meramente giuridico, ma è chiaro che la posta in gioco è molto più alta e riguarda la tenuta stessa del patto costituzionale spagnolo del 1978.

Il Presidente Mas non perde occasione per ribadire che il 9 novembre il popolo catalano sarà in ogni caso chiamato a esprimersi tramite referendum sulla possibilità di secedere dalla Spagna; il Presidente del Consiglio Rajoy, per contro, ricorda che, ex art. 149, la Costituzione assegna allo Stato in via esclusiva la competenza per indire consultazioni referendarie. La stessa via prevista dalla legge catalana 4/2010, permette di indire referendum solo in materie di competenza autonomica e comunque previa autorizzazione del Governo centrale, il quale in queste circostanze difficilmente potrebbe concederla. Né pare trovare sostegno l’ipotesi di una modifica della legge organica sul referendum del 1980.

Richiamandosi al precedente basco, (si veda STC 103/2008), il Governo centrale esclude, dunque, vi sia uno spazio perché tramite referendum possa essere avviato un processo di indipendenza in Cataluña: la secessione di una parte del territorio spagnolo comporterebbe la ridefinizione delle fondamenta dell’ordine costituzionale vigente e la riconsiderazione del soggetto sovrano. Il che lascerebbe spazio ad un’unica opzione giuridicamente sostenibile: quella della revisione costituzionale nella formula più aggravata di cui all’art. 168 della Costituzione spagnola, che prevede, fra l’altro, la previsione di maggioranze qualificate, lo scioglimento anticipato delle Cortes, il voto confermativo del popolo. Appaiono, dunque, assai scarse le probabilità di successo di un processo di rifondazione dello Stato autonomico spagnolo che passi attraverso la riforma della Costituzione.

Non è mancata, dunque, la formulazione di ipotesi alternative, fra cui quella che prevede un nuovo scioglimento della Generalitat e l’indizione di elezioni “programmaticamente orientate” ad esprimere un voto a favore o meno dell’indipendenza della Cataluña dalla Spagna.

Al di là della difficoltà evidente di trarre dalle elezioni di natura politica conseguenze di tipo strutturale, non deve essere dimenticato che il voto potrebbe comunque essere influenzato da un altro fattore, rappresentato dalle sorti ancora del tutto incerte in cui potrebbe incorrere la Cataluña indipendente relativamente alla partecipazioni ad organizzazioni sovranazionali quali la NATO e l’Unione Europea.

Al di là delle dichiarazioni del Governo catalano, quantomeno per quel che concerne l’UE, dove pure non si rinviene alcuna posizione ufficiale in merito, non è da escludere, infatti, che la secessione comporti per la Cataluña l’uscita dall’Unione e la conseguente attivazione eventuale della procedura dell’art. 49 del Trattato per la successiva richiesta di ammissione. Il che, deve essere chiaro, oltre che da un punto di vista simbolico, avrà evidenti ricadute sul piano pratico dal momento che non potrà che comportare l’avvio di un dettagliato iter negoziale per chiarire, anche dal punto di vista monetario ed economico, la sorte dei rapporti pendenti.

In un clima di aperta propaganda nazionalistica è difficile immaginare il grado di consapevolezza con cui i catalani sottoscriveranno il proprio “consenso informato” quando saranno chiamati, (se saranno chiamati) ad esprimersi sulle sorti della Cataluña, in termini netti attraverso un referendum oppure nella forma assai più lasca del voto elettorale.

Quel che sin da ora va detto è che il processo che si è aperto nella Comunità catalana, quantomeno sul breve periodo, rende ancora una volta improbabile l’apertura di un serio dibattito politico-istituzionale sulle sorti dell’organizzazione territoriale spagnola e sulla possibilità di rendere concreto un progetto di federalismo multinazionale che in altre realtà, seppure con fatica, sembra essere riuscito a dare buoni frutti.

11/02/2014
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