Da Berlino a piedi fino a Tel Abbas

di Simone Bongiovanni, dal Libano

Si chiama Civil March for Aleppo, è nata informalmente sui social network ed è partita 7 mesi fa da Berlino. L’idea è semplice quanto ambiziosa: percorrere a piedi gli oltre 3000 Km che separano la capitale tedesca da Aleppo, città simbolo della guerra siriana. Oltre duemila persone hanno aderito all’iniziativa, percorrendo in direzione contraria la stessa rotta che i profughi siriani usano per arrivare in Europa. I partecipanti si sono dati il cambio nelle diverse tappe, attraversando Germania, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Grecia, Turchia e Libano, per incontrare migliaia di persone lungo la strada, diffondendo il proprio messaggio di pace e di sostegno per la popolazione siriana.

Ma la Civil March è giunta in questi giorni ad una conclusione inaspettata. Dopo aver incontrato alcune difficoltà burocratiche in Turchia la marcia è ripartita dal sud del Libano, abbandonando ogni speranza di oltrepassare il confine siriano. Facendosi strada da Tiro a Tripoli, i marciatori hanno sfidato il traffico e il caldo libanese senza incontrare resistenze. All’alba di sabato 12 agosto, noi volontari della Colomba, li abbiamo raggiunti al porto di Tripoli: scarpe ai piedi, pronti per accompagnare la Civil March per l’ultima tappa tanto attesa. Ma tale tappa non è mai avvenuta. Dopo qualche chilometro dalla partenza, appena superato il check point di Deyr Ammar il gruppo è stato fermato dalla polizia militare, e scortato in una caserma dei servizi segreti. Dieci ore di inutile attesa, circondati da false cortesie, da stanze dai pavimenti di marmo e da poltrone imbottite, preparate come forma di rispetto verso gli ospiti internazionali, ma utili esclusivamente a rallentare il cammino della marcia. Alle 19 di sera è giunto il categorico NO al proseguo della marcia, frutto di lungaggini burocratiche e malintesi tra l’esercito e il governo libanese. Stremati e con il timore di avere l’attenzione dell’esercito addosso i marciatori sono tornati a Tripoli, dove li abbiamo salutati per tornare al campo di Tel Abbas.

Oltre 3000 km di strada percorsi non potevano certo concludersi così, fermati da un qualsiasi burocrate libanese. L’indomani stesso, non più a piedi ma a bordo di service, i partecipanti rimasti si sono mossi in direzione di Myniara per incontrare una rappresentanza di quel popolo siriano che li ha spinti a mettersi in cammino sette mesi fa. Al campo profughi, uno tra i primi nell’Akkar, la delegazione europea è stata accolta dal lancio di fiori e riso, e dagli abbracci degli abitanti del muhayam (campo profughi nella lingua araba). Insieme, polacchi, francesi, tedeschi, siriani e italiani abbiamo camminato per qualche centinaio di metri fino ad arrivare alla scuola Maalak, preceduti dalla bandiera della Civil March sorretta da Ali e Khaled, natii di Aleppo. Pochi passi, che sono un niente in termini numerici se paragonati a quelli percorsi finora, ma che sono forse stati i più importanti dell’intera marcia. Già, perché come racconta Anna Alboth, l’organizzatrice dell’iniziativa, questa marcia non aveva lo scopo di mettersi semplicemente in cammino, ma di incontrare le persone. Così i marciatori dall’Europa e gli esuli siriani hanno potuto condividere un pasto, una tazza di the e scambiarsi qualche racconto dei loro rispettivi cammini e delle loro vite.

Il confine, perciò, non è soltanto un luogo fisico, ma può anche essere un luogo del cuore. In questi giorni abbiamo riscoperto, in quanto europei abituati ad edificare muri, come sia possibile diventare costruttori di ponti. Il gruppo dei marcianti era molto variegato ed eterogeneo, ciò che li accomunava tuttavia era il desiderio di non intraprendere un cammino esclusivamente fisico, ma soprattutto di incontrare umanità lungo la strada. Il senso della marcia è sempre stato la ricerca di relazioni più che il susseguirsi di un passo dietro l’altro. La Civil March for Aleppo, come tante altre marce che hanno fatto la storia, non finisce qui. La guerra in Siria non è ancora terminata e i siriani continuano ad aver bisogno del nostro supporto per tornare nelle loro case in giustizia e sicurezza. Nella fase conclusiva della marcia Sheik Abdo, portavoce della Proposta di pace dei profughi siriani in Libano, ha rivolto ai partecipanti un accorato messaggio: la marcia non finisce qui, fino a quando guerra e violenza domineranno la vita dei civili in Siria ci sarà bisogno che ognuno si metta in cammino per promuovere un messaggio di pace, diritto al ritorno e alla ricostruzione di ciò che è andato perduto.

22/08/2017
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