Crescita economica: come generarla?

 

Il dibattito su come generare crescita economica: politiche fiscali, monetarie, o strutturali?

 Un articolo del Professor Riccardo Calcagno

Coloro che tra voi hanno fatto studi di macroeconomia all’università probabilmente si ricordano delle furiose dispute fra keynesiani, monetaristi ed altri economisti della “supply-side”.

Non per riproporvi un polpettone di scuola, ma ve ne voglio parlare brevemente perché in fondo uno degli obiettivi del dibattito era quello di capire quali politiche possano essere più benefiche per la crescita economica, tema più che mai di attualità in questi anni di crisi.

Brevemente, e scusate se in modo un po’ approssimativo. I keynesiani ritengono che il modo più efficace per creare crescita e occupazione sia di aumentare la domanda di beni e servizi: sia di beni di consumo che di investimenti, del settore pubblico e privato. I monetaristi ritengono che il livello di PIL nominale nel breve periodo dipenda soprattutto dalla quantità di moneta esistente nell’economia, aggiustata per la sua “velocità di circolazione”: tanta moneta immessa nell’economia genera un aumento della produzione se siamo lontani dal pieno impiego delle risorse, altrimenti genera inflazione. Molti tra i monetaristi possono essere definiti come economisti “supply-side” perché ritengono che le politiche più efficaci per la crescita nel lungo periodo siano quelle che agevolano l’offerta, cioè la produzione di beni e servizi: un esempio di queste politiche è quello di poca tassazione, ma, essi stessi chiariscono, non è il solo – anche se è stato il più propagandato dalle destre politiche di tutto il mondo.

Concretamente, cosa ce ne facciamo di queste belle teorie? Si sa almeno chi ha ragione, visto che sembrano dire l’una il contrario dell’altra?

Anche se alla seconda domanda la risposta è, come sempre quando si ha a che fare con degli economisti: “Dipende”, possiamo ugualmente trarre qualche lezione da queste teorie, e dalle esperienze passate di politica economica che se ne sono ispirate.

Quando nel sistema economico esiste una ampia capacità produttiva inutilizzata, che si traduce poi in alta disoccupazione, la cosa più efficace è sempre stata stimolare la domanda. Qualora non fosse impossibile aumentare la domanda dei privati, allora si deve passare per la spesa pubblica, come nella famosa provocazione di Keynes di far fare buche a spese dello stato per poi riempirle durante la Grande Depressione degli anni ‘30. Visto che in Italia la spesa pubblica non può più ragionevolmente aumentare di molto,[1] l’unica strada per politiche keynesiane sensate sembra far aumentare la domanda privata, quella delle famiglie e delle imprese. Ma se le famiglie già consumano tutto il loro reddito e le imprese vedono buio all’orizzonte, come nella grande crisi americana durante la quale Keynes scrisse le sue teorie principali, aumentare la loro domanda diventa impossibile. Implementare politiche keynesiane in Italia oggi richiede di trovare metodi innovativi per convincere le famiglie a consumare di più: non del loro reddito disponibile, perché già lo stanno consumando quasi tutto, ma della loro ricchezza. Una via possibile potrebbe essere smobilizzare parte della loro ricchezza – soprattutto quella immobiliare che è ancora molto elevata. Questo richiede però innovazione anche finanziaria, perché non possiamo aspettarci che gli Italiani vendano le loro case agli stranieri…Un’altra è quella di detassare i consumi, per esempio abbassando l’IVA, ma i nostri governi recenti han deciso di andare nella direzione opposta.

Per lo stimolo ai consumi e investimenti delle imprese il discorso è più complicato e si lega alle due altre teorie menzionate all’inizio.

La teoria quantitativa della moneta, cara ai monetaristi, suggerisce che il metodo più rapido per aumentare il PIL nominale di un’economia sia quello di aumentarne la quantità di moneta. Funziona? Approssimativamente, magari con parecchi “rischi collaterali”[2], si, e per questo le banche centrali abbassano i tassi di interesse e “stampano moneta”[3] nei periodi di crisi. Ma oggi in quasi tutti i paesi sviluppati i tassi di interesse bancari di riferimento sono già vicini a zero, e immettere moneta potrebbe non servire a nulla se venisse tesaurizzata. Alcuni economisti suggeriscono misure ancora più eccezionali da parte delle Banche Centrali, che aiutino a migliorare le aspettative sull’andamento dell’economia.[4] E’ ormai riconosciuto da tutti che migliori aspettative sul futuro agiscono fin da subito spingendo le imprese ad investire ed assumere e le famiglie a consumare di più.

Ma gli economisti monetaristi sono molto critici sugli effetti di lungo periodo dell’aumentare la quantità di moneta. Secondo loro, senza politiche strutturali che agevolino l’innovazione e la produzione, stampare moneta crea solo inflazione.[5] Queste politiche strutturali sono molto più varie che la semplice richiesta di abbassare le tasse sulla produzione e sul lavoro care ai nostri industriali. Anzi, secondo me potrebbero essere le più efficaci su un termine di 3-5 anni, e potenzialmente sono anche poco costose per lo Stato. Purtroppo sono spesso politiche complicate da attuare perché richiedono di cambiare in profondità il sistema economico, finanziario e anche giuridico. Per esempio, una misura abbastanza non convenzionale di stimolo all’innovazione è usata dal Canada, ed è stata per decenni alla base dello sviluppo americano: concedere facilmente la cittadinanza a giovani imprenditori di origine straniera. Gli immigrati, certo spesso selezionati, sono stati un motore del capitalismo americano: perché non usare questa risorsa anche in Italia? Negli USA la selezione è stata sì fatta da università che sono tra le migliori e le più vicine alle imprese al mondo, e lo stesso modello universitario americano non è perfetto. Però il principio resta: perché non cerchiamo di attrarre talenti da altri Paesi, invece di vedere l’immigrazione solamente come un pericolo di invasione? O ancora: molte imprese giovani e innovative hanno bisogno di attrarre capitale di rischio, cioè investitori che sappiano rischiare fondi su larga scala in cerca di qualche successo imprenditoriale, anche a costo di molti piccoli insuccessi. Devono invece essere protette dall’eccesso di regolamentazione e di speculazione sul breve termine tipici del mercato azionario. Sarebbe ora di pensarci anche da noi: non lasciamo l’innovazione solo in mano a singole famiglie di imprenditori isolate, ma creiamo reti di innovazione – magari collegate a Università e Politecnici – fondi in capitale di rischio (i “Venture Capitalists”) con partecipazioni di fondazioni bancarie o altre forme di investitori anche pubblici. Sotto un altro aspetto, un mercato azionario trasparente, che protegge e quindi attrae piccoli investitori e fondi d’investimento, è necessario per le imprese che abbiano raggiunto una certa dimensione: i fondatori possono cederne una quota guadagnandoci spesso somme spettacolari. Questo a sua volta dà ai giovani maggiori incentivi a creare imprese.

Ho descritto solo alcuni esempi di politiche strutturali di sviluppo dell’offerta, ma se ne possono trovare parecchi altri. Secondo me in Italia è giunto il momento di credere nei potenziali imprenditori del futuro e di introdurre una legislazione favorevole a chi vuole creare ed innovare onestamente, senza per forza contare su canali privilegiati. Questo vuol dire combattere seriamente tutti i vincoli che soffocano lo sviluppo: finanziamenti distorti di banche e autorità pubbliche; mancanza di infrastrutture; criminalità, malaffare e incertezza del diritto. E non vuol dire invece ridurre i diritti dei lavoratori dipendenti: per agevolare l’innovazione non è fondamentale ridurre il costo del lavoro. Le piccole imprese nascenti infatti danno lavoro ai fondatori e hanno all’inizio pochissimi (o nessun) dipendente.

Per finire, dunque, credo che sia i keynesiani che i monetaristi abbiano ricette interessanti per aiutare i nostri politici a fare scelte di politica economica sensata. Prendiamo ispirazione dall’una e dall’altra parte perché per una volta il fatto che non una sola scuola abbia ragione potrebbe essere un vantaggio.

 


[1] Con questo non voglio assolutamente dire che non dovrebbe essere profondamente ristrutturata, anzi. Senza far demagogia, penso che siamo ormai tutti convinti che si siano sprecati troppi soldi pubblici, e quasi mai nei settori veramente importanti e produttivi, come ad esempio la scuola.

[2] Il principale rischio di politiche monetarie espansive è quello di generare “bolle speculative”: il denaro messo in circolazione dalle banche centrali non viene usato per fare maggiori acquisti e investimenti, cosa che aumenterebbe l’occupazione, ma viene investito in attività reali o finanziarie, facendone aumentare il valore. Questo potrebbe attrarre ulteriori acquisti in queste stesse attività, sempre finanziati da operatori finanziari ricchi di moneta in cerca di rendimenti sempre più alti.

[3] Le operazioni di “Quantitative Easing” della banca centrale americana che si sono susseguite dal 2008 ad oggi sono in pratica l’immissione di nuovi dollari nell’economia.

[4] Chi è interessato può leggere ad esempio l’articolo “Un tutor autostradale per la Banca centrale europea”, di Tommaso Monicelli, su lavoce.info.

[5] Che, non dimentichiamolo, è una tassa molto più penalizzante per i meno abbienti: colpisce molto di più una famiglia povera che spende tutto il suo reddito in prodotti necessari che una più ricca che può invece senza troppi sacrifici tagliare qualche consumo superfluo.

18/05/2013
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