Corte di giustizia europea 1 – Bossi-Fini 0




Tutto comincia a Torino, l’8 maggio del 2004. Il prefetto emette un mandato di espulsione nei confronti di Hassen El Dridi, cittadino algerino entrato illegalmente in Italia. El Dridi non se ne va, e nel maggio 2010, questa volta il questore di Udine emette un mandato di allontanamento nei suoi confronti, “motivato dall’indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla mancanza di documenti di identificazione del sig. El Dridi nonché dall’impossibilità di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea per mancanza di posti nelle apposite strutture”. A settembre è ancora in Italia, e viene conseguentemente condannato ad un anno di reclusione, ai sensi del decreto legislativo n. 286/1998, nome ufficiale della Bossi-Fini. Impugna la decisione davanti alla Corte di appello di Trento: è in prigione, quando quest’ultima interroga la Corte di giustizia europea.


La domanda è la seguente: la Bossi-Fini è compatibile con la direttiva europea sui rimpatri del 2008? Ovvero: è legittimo che El Dridi sia in prigione per il reato di clandestinità? Per i frettolosi: la risposta definitiva è stata: no. La sentenza recita: “La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo”. La legge italiana contrasta con la direttiva, e non dovrebbe.


Per i più pazienti, aggiungiamo qualche elemento. Le direttive europee non possono essere contraddette da leggi degli Stati membri, nei loro risultati – il come raggiungerli è deciso dagli Stati, ma l’effetto delle leggi nazionali non può mai contrastare con quello previsto da una direttiva del Parlamento europeo. Nemmeno se si tratta di diritto penale, come in questo caso, su cui gli Stati sono generalmente sovrani. Ora, la direttiva del 2008 stabilisce che i rimpatri possano essere fatti tramite centri di permanenza temporanea, se non sono presenti i mezzi per il rimpatrio immediato dei clandestini, ma solo dopo aver dato un tempo che va dai sette ai trenta giorni, durante i quali la persona può rientrare volontariamente a casa. La permanenza in carcere è prevista solo qualora non ci siano altri luoghi disponibili per ospitare chi è presente illegalmente, e in ogni caso senza che avvengano mescolanze con i detenuti comuni. Deve essere, in altre parole, evidente nell’agire dello Stato che i clandestini non sono criminali.


Per quanto riguarda l’uso della forza, essa stabilisce che “ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza”. E nel rispetto dei parametri di dignità umana, equità e trasparenza. Si dice anche che si devono adottare le misure meno coercitive possibili, purché raggiungano l’effetto desiderato. Nel caso in cui sia necessario trattenere la persona, tale permamenza deve essere “il più breve possibile”. Come constata la sentenza, la reclusione non può essere applicata per la semplice permanenza illegale sul suolo dello Stato. Tale pena contrasterebbe con gli obiettivi della direttiva – un rimpatrio dignitoso e rispettoso dei diritti dell’uomo. La sentenza lascia tuttavia una stretta apertura al penale, se “le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro territorio sia irregolare”.


Il punto 8 della piattaforma regionale L10, promossa da Libera, inizia con una citazione di Primo Levi: ““A molti può accadere di ritenere che ogni straniero è nemico…Quando questo avviene, allora al termine della catena sta il lager”. E prosegue con la richiesta dell’abrogazione del reato di clandestinità. Ci sembra che questa sentenza sia un notevole passo in avanti. Riporto sotto il testo integrale, in italiano, della sentenza e della direttiva a cui si riferisce l’articolo.

Sentenza El Dridi

Direttiva 2008/115 sui rimpatri

28/04/2011
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