Quando il coprifuoco incendia la città. Notizie dal Burkina Faso

di Nadia Berti

 

Burkina Faso: un Paese in cerca della propria identità democratica nell’immediato post-dittatura. La sera del 15 gennaio, in un paese al confine con il Ghana, illuminato artificialmente solo dal 2008, ricevo una chiamata dall’Italia: “Hai sentito cos’è successo a Ouaga? Dei terroristi hanno fatto una strage in un hotel del centro”. Non mi resta che chiedere informazioni ad alcuni amici in capitale per capire che cosa sia realmente accaduto. L’attacco terroristico del 15 gennaio al bar-ristorante “Le Cappuccino” e all’Hotel Splendid nell’avenue Kwame N’Kurma, una delle più lussuose di Ouaga, è su tutti i media internazionali: il bilancio è di 130 ostaggi liberati, una cinquantina di feriti e 31 morti, fra loro alcuni attentatori. Alla radio nazionale, con il passare delle ore cambia continuamente il numero degli attentatori: prima 4, poi 6, poi addirittura 15, tra cui due donne. Ma chi e quanti sono realmente? Le indagini sembrano aver confermato la presenza delle due donne. La paternità degli attacchi è attribuibile ad una cellula di Al Quaeda che ha sede in Mali, denominata  “AQMI”, Al Quaeda in Maghreb, e coordinata da un individuo dal volto inquietante, cieco di un occhio e dato più volte per morto: Mokhtar Belmokhtar. Si parla anche di terroristi e trafficanti d’armi provenienti da Gorom-Gorom, nel nord del Paese, responsabili del rapimento di una coppia di anziani medici australiani nel villaggio di Djibo. Nessuna notizia certa, finora, sulle loro condizioni. Attentati che alimentano un male rimasto finora silente, sedato dalla corruzione e dall’apparente condizione di pace dettata dalla dittatura compaorista. Una rete (volutamente) invisibile di traffici illegali di armi, uomini e droga ha attraversato il Paese per almeno tre decenni, con la complicità del braccio destro dell’ex dittatore, oggi in carcere, Gilbert Dienderé. Dopo l’attacco nel vicino Mali, all’hotel Radisson Blue di Bamako il 21 novembre scorso, l’obiettivo del terrore resta in Africa occidentale e ne colpisce il cuore. Il Burkina non è un Paese che fa gola per le sue ricchezze, ma è strategico dal punto di vista geografico: con l’assassinio di Thomas Sankara nell’87, le redini passano per quasi trent’anni a Blaise Compaoré, considerato un grande mediatore più per la sua attitudine filo-occidentale che per le sue doti di statista. Il 30 e 31 ottobre 2014 un’insurrezione della società civile guidata dal Balai Citoyen spazza via la dittatura e taglia nettamente con il passato, ma innesca indirettamente una bomba ad orologeria, esplosa proprio in concomitanza con gli attacchi terroristici della scorsa settimana. Un primo segnale: il colpo di stato del 16 e 17 settembre 2015, che ha visto protagoniste le ex milizie presidenziali (Régiment de Sécurité Présidentielle). Il vento del cambiamento e di speranza ha soffiato per tutta la transizione, che ha il volto rassicurante di Michel Kafando, e durante lo svolgimento di elezioni “libere, democratiche e trasparenti” che hanno portato Roch M. C. Kaboré a sedere sulla più ambita poltrona del Paese, lo scorso 29 dicembre. Ma basta poco perché il conto alla rovescia abbia inizio, quando saltano le pedine di uno scacchiere internazionale già corroso al suo interno, calibrato sull’ingiustizia e sui favoreggiamenti: ora che la testa del sistema si è rifugiata ad Abidjan, ed il suo braccio è dietro le sbarre, sicari e trafficanti abituati alle tangenti e ai privilegi di Ouaga 2000 rischiano di rimanere a mani vuote. Il loro isterismo si manifesta il 22 gennaio con l’assalto del deposito di armi di Yimdi, nella parte ovest della capitale: per il momento, non tutti i responsabili sono stati identificati, ma avevano addosso le divise dell’RSP. Nella stessa settimana si verificano diversi incendi di natura sospetta, che polverizzano le attività commerciali nei quartieri di Tanghuin, Buens Yaare e Pissy in capitale e nel mercato centrale di Bobodioulasso. A Ouaga, la popolazione è ancora tenuta a rispettare il coprifuoco, previsto fino a qualche giorno fa dalle 23:00, ora dall’1:00 alle 4:00 del mattino, ma sull’avenue Kwame N’Kurma il traffico ha ripreso a circolare. Coprifuoco dunque che accende molte micce, difficile credere che si tratti di coincidenze. Il Burkina è oggi un Paese imbavagliato, preso in ostaggio perché ha avuto la forza di voltare pagina e si ritrova ora a percorrere una strada in salita più accidentata del previsto. Mentre l’Europa torna a pensare a sé stessa, la sicurezza dei civili è ancora in pericolo, nelle grandi città come lungo le frontiere: l’idea di “isola di pace” ormai non regge più per la terra degli uomini integri. Un Paese che assomiglia ad una zattera che rischia di affondare ad ogni momento, presa di mira da chi cerca di trarre vantaggio dal terrore jihadista, da chi è attaccato ai privilegi della dittatura, da chi ha approfittato finora dei commerci illegali. Eppure la risposta della società civile è positiva e propositiva: per le strade della capitale e delle città principali, la gente si riunisce e prega per rendere omaggio alle vittime, cammina con migliaia di candele in mano davanti ai luoghi degli attentati e canta contro la paura per dimostrare che un Paese protagonista del proprio cambiamento non può tirarsi indietro, non ora.

25/01/2016
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