Caso “burqa” a Sonnino

 

 

Storia di una storia incompresa


La mattina del 18 settembre 2010, a qualche giorno dall’ inaugurazione del nuovo anno scolastico, le maggiori testate locali ponevano l’ attenzione sul “caso burqa” scoppiato in una scuola materna di un piccolo centro della provincia di Latina.


La proverbiale tranquillità di Sonnino, paese collinare di appena 7000 anime, veniva turbata dalla presenza inaspettata di una singolare signora che aveva osato tanto, troppo forse, recandosi a scuola per accompagnare suo figlio indossando il suo fatiscente abito tradizionale.

Le principali testate locali, seguite immediatamente da quelle nazionali, dipingevano un ordine di cause-conseguenze ben preciso, mentre la comunità ausona “ sonnecchiava” ancora, non riuscendo ben a comprendere il significato di cosa fosse accaduto e, soprattutto, di come si fosse scatenato tanto scalpore da richiamare l’ attenzione dei media nazionali!



Le prime notizie dipingevano il quadro di una scuola in subbuglio: l’ inusuale figura scura, comparsa all’ ingresso dell’ istituto Leonardo da Vinci, aveva destato il terrore dei piccoli provocandone “ pianti, urla, resistenze al distacco dai genitori, repulsione per il mondo scolastico” che, proprio in quel giorno, i bimbi di 3 anni stavano scoprendo per la prima volta.

L’ immaginario collettivo dei fanciulli aveva immediatamente elaborato una sua interpretazione dei fatti: la scuola era un mondo oscuro e la strana figura era per tutti, la “maestra nera” .


Risulta davvero difficile capire come tale rielaborazione, così diffusa e così immediata da comparire istantaneamente su tutti i primi comunicati stampa, possa essersi generata nella mente dei piccoli senza la mediazione dei grandi; la figura della “ maestra nera” , infatti, è una “ elaborazione concettuale” certamente più complessa e raffinata di molte più semplici figure, quali ad esempio quella dell’ uomo nero,
dell’ orco e del lupo cattivo.


Favole e fiabe in cui i personaggi oscuri e gli antieroi provengano dalla scuola risultano poi piuttosto rare (qualora esistano e siano mai state inventate!) poiché il mondo dei grandi cerca da sempre, per il mondo dei piccoli, un approccio positivo e tutt’ altro che traumatico alla scuola.

Eppure, quel sabato mattina settembrino, l’ opinione pubblica sonninese era stata scossa (persino
preceduta dai media nella rielaborazione dei fatti) apprendendo la notizia del terrore dei bambini di
fronte alla donna che si recava a scuola in “ burqa” .

Nelle ore successive alla lettura dei quotidiani, seguiva la troupe della Rai per le strade del corso, raccogliendo interviste, opinioni e umori tra una folla di persone non ancora sufficientemente informate.

Il sindaco in piazza, assecondava gli animi di chi non accettava l’ “evidente disagio” provocato ai piccolissimi: la strana signora doveva “adeguarsi” e cambiare l’ abito, affinché non si ripetesse il triste e traumatico “incidente culturale” ; dal momento che la signora era ospite di un altro paese, si mormorava, era tenuta ad abbracciare usi e costumi del paese ospitante.


Nell’ intensa mattinata, col passare delle ore, l’ umore generale della piazza sembrava evolversi ed arroccarsi su posizioni sempre più estreme e coralmente espresse: la signora non era un ospite gradito, al contrario delle altre presenze straniere ben inserite in paese, poiché nessuno in tre anni aveva mai avuto modo di vedere se la donna era “ nera, rossa o gialla” (testuali parole del sindaco!).

La questione della sicurezza (la legge 152 del 1975 che impone di circolare a viso scoperto in Italia) veniva pur tirata in ballo da qualche partecipante al dibattito, ma essa si mescolava a molti altri fattori e il sentimento prevalente, in realtà, era l’ incomprensione di tanta riservatezza della famiglia marocchina, che, a differenza di Salvatore, Camel e Zazzà (tutti ben integrati, tanto che “ bevono anch’ essi la birra al bar!” ), non aveva lasciato spiragli alla curiosità e all’ invadenza della comunità paesana.


La “carità” di una piccola comunità, presuppone sempre che si debba aiutare lo straniero che arriva,
soprattutto insegnandogli la preparazione della pasta all’ uovo e di altre prelibatezze tradizionali (le migliori al mondo tra l’ altro, secondo il parere delle nonne del paese), ma, in questo caso, la famiglia ospite da ben tre anni, non aveva aperto le porte: Mustafà, il marito della signora, è molto rispettoso ma si limita a salutare tutto il vicinato la mattina e la sera, quando esce e quando rincasa dal lavoro.

La sua signora passa tutta la giornata in casa e quando esce, in “ burqa” , si reca per qualche minuto al negozio poco distante da casa per acquistare i generi alimentari.

I vicini di casa e il negoziante dell’ alimentari hanno giurato di non aver mai visto gli occhi della signora, ma, in tre anni, la famigliola si è sempre mostrata molto rispettosa e discreta, senza creare mai problemi,
né all’ ordine pubblico né ai bambini.


Eppure, quella mattina del 18 settembre, molte persone giuravano che la signora in questione aveva spaventato i bimbi della materna. Risulta perciò ancora più difficile, credere che il “caso burqa” di Sonnino sia esploso per un disagio concreto e reale, senza considerare una premeditata “ elaborazione” del caso mediatico, senza considerare il provvedimento di divieto del velo a scuola e poi del burqa approvato di recente in Francia e, direttamente, riversatosi ad influenzare il più ampio dibattito nazionale italiano al riguardo.

In quelle mattinate del sabato e della domenica settembrini, il sentimento popolare sembrava consolidarsi sulle posizioni di rabbia e paura, estese in un batter d’ occhio dalla famiglia di Mustafà a tutto il mondo islamico in generale.

Gli amministratori di centrodestra, sicuri di sé con il popolo rabbioso che chiedeva “giustizia e rispetto dei costumi italiani” , sembravano piuttosto disorientati di fronte alle telecamere e allo sguardo nazionale, cui dovevano riservare un linguaggio diplomatico e certamente più rispettoso.

Il “ caso burqa” era esploso in maniera incontrollabile; l’unico problema legale, invece, era costituito dal momento dell’ uscita e del congedo dalla scuola, quando gli insegnanti del bimbo marocchino erano chiamati a riconsegnarlo nelle mani di uno dei due genitori e ad accertarsi della sua identità.

La questione era prettamente interna al regolamento scolastico, dunque, mentre proprio la scuola sembrava essersi dissolta completamente nel dibattito scaturito.


Il verdetto finale sarebbe stato pronunciato soltanto nella giornata del lunedì seguente l’ intenso week end, quando si sarebbe ripresentata la stessa scena del presunto terrore dei bimbi all’ ingresso dell’ istituto Leonardo da Vinci e, per quell’ occasione, era stato annunciato un incontro tra la famigliola marocchina, il sindaco e la dirigente scolastica.


È stato allora che alcuni studenti del dipartimento di Scienze storico religiose della Sapienza di Roma hanno deciso di scendere in campo offrendo l’ ambizioso antidoto della mediazione e del dialogo interculturale e interreligioso: la mattina del 20 settembre 2010, 5 ragazze e 3 ragazzi hanno manifestato nella scuola sonninese la loro solidarietà alla signora cui si stava chiedendo di abbandonare qualcosa di appartenente alla sua cultura.


Un manifesto esposto nell’ edificio annunciava: “Ogni bimbo ha il diritto di essere accompagnato a scuola dalla propria madre, così come è!” . Le ragazze hanno attirato l’ attenzione dei presenti indossando un velo, una sorta di “ niqab” improvvisato, per avvicinarsi il più possibile al mondo islamico femminile: il messaggio che si voleva lanciare non era in difesa di nessun burqa (ed è stato necessario esplicitarlo in tutte le interviste rilasciate), ma semplicemente in nome del diritto costituzionale della libertà d’espressione; in nome della libertà di ogni donna islamica di decidere, in maniera autonoma e senza pressioni, quale abito della tradizione indossare o quale “ moda” seguire.



Si temeva che il caos scatenatosi potesse intimidire ulteriormente la donna marocchina tanto da portarla a non recarsi più a scuola per accompagnare il piccolo, o, nella peggiore delle ipotesi, che il piccolo infine non sarebbe più andato a scuola.

Il gruppo dei manifestanti ha raccolto le reazioni più svariate: di disapprovazione, di ridicolizzazione; ma, con grande sorpresa degli stessi studenti, hanno ricevuto anche molte manifestazioni di approvazione, raccogliendo risposte e chiarimenti efficaci alla comprensione dei fatti accaduti nelle prime ore del caso.

Molte mamme hanno infatti dichiarato che i loro bambini erano sereni, che avevano certamente fatto domande sulla signora, il primo giorno di scuola, apprendendo però molto facilmente che la donna era una mamma come la loro e che vestiva in un altro modo perché così facevano nel suo lontano paese.


Il secondo giorno di scuola, un bambino di 4 anni era tornato a casa dicendo: “ Io ho capito perché la signora si veste così: perché le dà fastidio il sole!” .


L’ elaborazione dei fatti nell’ immaginario collettivo dei bimbi, stando al racconto diretto delle madri, ha trovato strade e percorsi facilitati tra i più efficaci e teneri allo stesso tempo.

Nella stessa mattina, alla manifestazione è seguito l’ incontro con la dirigente scolastica; le sue dichiarazioni sono state sconvolgenti: il “ caso burqa” non era scoppiato a scuola, dove i bambini avevano reagito con curiosità alla vista della signora “ tutta nera” .

Lei stessa, contenta di aver accolto personalmente il bimbo marocchino il primo giorno, si era preoccupata di chiedere informazioni sulle abitudini alimentari del piccolo, da comunicare poi alle cuoche della mensa
scolastica e, a quanto pare, semplicemente per questo motivo la dirigente aveva convocato i genitori per il lunedì mattina. Il caos sollevato perciò aveva deluso e irritato l’ animo della preside, certamente in grado di contenere la questione all’ interno della regolamentazione scolastica, qualora si fosse manifestato un disagio reale ed evidente.

Abbiamo proposto un progetto formativo e ludico al tempo stesso da avviare nell’ anno in corso, all’ insegna della multiculturalità e dell’ interreligiosità; la dirigente ha risposto con entusiasmo.

La mediazione culturale è scesa in campo nella mattina del 20 settembre a Sonnino: continuerà il suo percorso con i bambini e, si spera, anche con le mamme.

La stessa mattina, ha chiarito inoltre molti aspetti di una storia incompresa sin dall’ inizio:

-il timore dei piccoli era stato avallato per nascondere la rabbia e l’ intolleranza di un esiguo numero di mamme;

-Mustafà, intimorito probabilmente più degli altri, ha dichiarato che sua moglie si sarebbe scoperta un po’ di più il viso, per amore dei piccoli;

-Il sindaco nelle sue dichiarazioni finali, ha concluso inneggiando alla vittoria del “ dialogo” tra le parti; ma chi avrebbe dialogato con chi, se all’ incontro annunciato con entusiasmo non era presente la signora marocchina, ma suo marito? Un vero dialogo inoltre, avrebbe dovuto prevedere che ognuna delle parti facesse un passo verso l’ altra; in questo caso invece, solo la signora marocchina ha effettuato un passo verso le mamme che chiedevano un suo “ adeguamento” , scoprendo il suo volto. Nessun provvedimento è stato intrapreso affinché le compaesane capissero le ragioni della signora;

-l’abito tradizionale in questione, infine, non era affatto un “ burqa” (che sarebbe stato azzurrino) ma un “ niqab” nero e nella sua versione più integrale (con una rete sugli occhi)!



Elisa Campagna

studentessa

di Scienze storico religiose

Sapienza di Roma

21/10/2010
Articolo di