Carcere, con "lista d'attesa"

 

In numeri, la popolazione carceraria italiana è composta da 66.685 persone, 1.567 sono ergastolani. La capienza regolamentare massima delle strutture penitenziarie è di 46.795 posti. Il tasso di sovraffollamento di queste strutture in Italia tocca quota 142,5% mentre la media europea è del 99,6%.

Qualcuno doveva farlo. Così il giudice Marcello Bortolato, del Tribunale di Sorveglianza di Padova, ha emesso un’ordinanza destinata alla Consulta. L’ordinanza chiede come sia possibile eseguire una sentenza che prevede nella sua realizzazione una violazione dei diritti umani. Il caso specifico riguarda una richiesta di sospensione della pena formulata da un detenuto al Tribunale di Padova. Il detenuto ha vissuto per 9 giorni in una cella con 2,43 mq a disposizione e per 122 giorni con 2,58 mq di spazio nella casa circondariale di Padova. La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha già condannato due volte (2009 e 2013) l’Italia a risarcire detenuti, costretti a vivere in spazi inferiori ai 3 metri quadri a persona. Spazio, questo, ritenuto vitale per la sopravvivenza umana dall’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’uomo. La stessa Corte di Giustizia di Strasburgo ha dato un anno di tempo all’Italia per superare questa condizione di sovraffollamento, equiparata alla tortura.

L’ordinanza di Padova chiede una sentenza “additiva”, che consenta, cioè, ai giudici di sospendere, o rinviare, l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non soltanto in presenza di grave infermità fisica (come previsto dall’art. 147 del codice penale), ma anche nel caso in cui la detenzione fosse da scontare in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque in “trattamenti disumani e degradanti”.
La logica seguita nella redazione dell’ordinanza da parte del Tribunale di Padova è basilare: se la pena viola la dignità del condannato non risulta legale. È una “non pena”. Un provvedimento inapplicabile, almeno finchè non si ripresentano le condizioni possibili all’attuazione. Queste ragioni dovrebbero dare al giudice la possibilità di sospendere o rinviare la pena a seguito di un “congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena, e dall’altro di difesa sociale”. Quindi, caso per caso, andrebbe eseguita un’analisi, a seconda della pena e della pericolosità.

Non si tratta di annullare la condanna, tutto al più di commutare il tempo di attesa in una pena diversa, come la detenzione domiciliare. Una sorta di “lista d’attesa”. D’altronde la situazione attuale di comminazione delle pene in carcere presenta da tempo aspetti incostituzionali.
La decisione sul da farsi spetta ora alla Corte Costituzionale. Ma uno stimolo è arrivato dalla società civile. Presso la Cassazione, il 31 gennaio scorso, sono state depositate tre proposte di legge di iniziativa popolare, sottoscritte da un cartello di 19 associazioni, tra cui Antigone, Cnca, Forum Droghe, Arci e Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti. Le leggi, accompagnate da 50.000 firme di cittadini, chiedono l’introduzione del reato di tortura nel codice penale. L’istituzione del garante nazionale delle persone private della libertà personale. La conversione dell’ordine di esecuzione nel caso di carenza di disponibilità di allocazione dell’istituto di detenzione. Alcune modifiche legislative in tema di recidiva. L’abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La revisione dei criteri di scelta delle misure cautelari e riduzione della custodia cautelare in carcere. Modifiche alla legge sulle droghe e ancora altro. Insomma, la riforma del sistema penitenziario nazionale, ideata da cittadini liberi.

21/02/2013
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