Bruxelles, una settimana dopo

di Davide Ziveri
La prima settimana dagli attentati terroristici di Bruxelles ci dice del nostro futuro più di quegli stessi ignobili atti di una strana guerra. Il modo in cui abbiamo accolto le emozioni di quei momenti, i commenti che abbiamo condiviso (grazie a tutti per la vostre intelligenti e calorose risposte), le scelte politiche di fronte all’emergenza e alla paura segnano la direzione verso cui ci spinge questa botta, come una palla da biliardo.
In una sorta di assuefazione molti belgi ammettono di essersi sentiti più coinvolti dal massacro parigino del novembre scorso. All’aeroporto di Charleroi ci sono quattro ore di rassegnata attesa tra il checkpoint militare all’ingresso e la congestione di passeggeri impauriti. Per strada le sirene fanno spesso sobbalzare i passanti e a bordo delle auto della polizia ci sono agenti con il passamontagna.
Una realtà, quella belga, più surrealista che mai, tra i bambini che giocano nei parchi alla ricerca delle uova di Pasqua e i camion militari in centro. Forse entrambe queste situazioni sono parte della risposta: l’efficacia (messa sotto accusa) della sicurezza della capitale europea e la voglia di una normalità lacerata. Quello che resta da definire è il discorso di noi gente dell’opinione pubblica, ciò che pensiamo davvero, ciò che ci sta a cuore, come spieghiamo l’accaduto, come vediamo il mondo e ciò che guiderà le nostre scelte. A una settimana dagli attacchi questa battaglia è in corso.
La domenica di Pasqua, nella quale oltre 70 vittime sono state cancellate da una bomba a Lahore (Pakistan) con molta meno eco, la piazza della Borsa di Bruxelles, luogo simbolo del cordoglio, è stato invaso da cinquecento neofascisti. La marcia della pace prevista è stata rimandata per motivi di sicurezza: la prevenzione del silenzio. Gli unici che hanno corso il rischio di scendere in piazza lo hanno fatto con slogan razzisti sino al punto di essere respinti dalle cariche della polizia. Se non riprendiamo le strade, e con esse la vita, con il coraggio della presenza nonviolenta, allora il terrorismo, da dolorosa distorsione diverrà una politica della violenza. In quel gioco perverso, tra opposti radicalismi, avremo definitivamente perso l’Europa e la pace.

29/03/2016
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