Birdman

Riggan Thomson (Michael Keaton) è un attore popolarissimo per aver interpretato un supereroe chiamato “Birdman”, in film commerciali per il grande pubblico. Vuol portare in scena un testo tratto da Raymond Carver, il grande scrittore minimalista americano: sta per debuttare a Brodway con “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, ma la confusione a teatro è sovrana. Le prove non funzionano, gli attori sono tutti un po’ paranoici e un po’ sull’orlo della crisi di nervi, la figlia è appena uscita da una cura disintossicante dalla droga, l’ex moglie ricompare e nulla sembra funzionare. Ma Riggan è determinato ad andare avanti: questa è la sua grande occasione per dimostrare le sue capacità di interprete, per smentire la critica feroce e il pubblico miope che lo identificano solo come un attore minore, sul viale del tramonto, buono giusto per i blockbuster. Tra dialoghi surreali e quasi grotteschi, imprevisti continui e assurde situazioni, la storia arriva fino alla sera della prima, in un teatro stracolmo di pubblico.

Apologo feroce sulle contraddizioni umane, sulle meschinità dell’attore e del suo universo, critica crudele della società odierna dei social network e della popolarità effimera, “Birdman” è un film strano e di indubbio fascino. Alejandro Gonzales Inarritu, regista messicano di notevole capacità (e anche qui si apprezza tutta), dopo il successo della trilogia sulla morte (“Amores perros”, “21 grammi” e “Babel”) porta sullo schermo la storia di uomo solo, malinconico, grigio e  inadeguato per molti aspetti, che fa i conti con la vecchiaia, eppure dotato di un alone magnetico, nel suo ritratto di fallito. Michael Keaton, mai così bravo, spicca su una compagnia di interpreti notevole (vanno citati almeno E. Norton ed E. Stone). 9 candidature agli Oscar e già una mèsse di premi. Bulimico, ipertrofico, pieno di sottigliezze e dialoghi taglienti, qua e la divertente e anche amaro. Riflessione sul mondo dell’arte e della finzione, tanto lontano dalla vita reale, eppur così compenetrato con essa. Gli spunti fantastici (la telecinesi) potrebbero essere solo un’acuta metafora interiore, come il finale sospeso, in tutti i sensi.

E’ il ritratto di una vitalistica voglia di felicità, contraddetta dalla quotidianità banale, che si riassume nella citazione iniziale di Carver:

« E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Sentirmi chiamare amato, sentirmi amato sulla terra. »

Non perdetelo!

05/02/2015
Articolo di