Berlinguer: perché ricordarlo a 30 anni dalla morte

una foto di repertorio di enrico berlinguer

Rubrica a cura del Centro Studi e di Francesco Daniele

 

Come in tutti gli anniversari pubblici, il ricordo rischia di scivolare nella melassa della retorica e nel pericolo della nostalgia romantica, oscurando le valutazioni obiettive, per quanto ce ne possano essere. Enrico Berlinguer è uno politici più citati in questo 2014, perché cadono i 30 anni dalla sua morte (l’11 giugno), Walter Veltroni gli ha dedicato un documentario, se ne scrive a destra e manca (bello il numero de il Venerdì di Repubblica, del 16 maggio, con una lunga intervista alla figlia Bianca), forse anche troppo.

Berlinguer ci manca, Berlinguer ti vogliamo bene, diremmo oggi parafrasando Benigni, ma il pericolo di strumentalizzare, di attualizzare in maniera brutale e senza la necessaria cura, di sbandierare grossolanamente la statura (morale) di un uomo politico del genere, anche come clava per colpire e stigmatizzare comportamenti di oggi, è reale e sarebbe, al contempo, esito poco lusinghiero e che spereremmo di risparmiarci: per la sua memoria, per il nostro passato, ma anche e soprattutto per il nostro presente.

Un servizio utile, se riesce, è raccontare meglio chi fosse Berlinguer a chi non lo ha conosciuto. A chi, come molti di noi, è nato dopo quel 1984, a chi lo tratteggia con vaghezza e confusione, come i ragazzi intervistati all’inizio nel documentario di Veltroni, film che pur non basta a ricostruire la complessità dell’uomo e del politico.

Un racconto che qui, con tutta l’umiltà del caso, di fronte alla storia con la s maiuscola, proviamo a fare in punta dei piedi e con delicatezza, sperando di essere d’aiuto. Lo divideremo in tre parti, sapendo che, pur nell’articolazione in brevi “puntate”, non c’è l’ambizione di essere esaustivi, cercando di fornire spunti di riflessione, evitando gli opposti della deriva agiografica e della sintesi brutale dell’era social.

 

 IL CONTESTO STORICO DELL’ELEZIONE DI BERLINGUER A SEGRETARIO DEL PCI

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Berlinguer viene eletto segretario del PCI nel 1972 e lo scenario italiano (e quello globale), farebbe invidia ai migliori thriller fantapolitici. Ha cinquant’anni, sostituisce una vecchia gloria come Luigi Longo, il leader storico (il Migliore), Togliatti, è morto da quasi un decennio. La DC governa da una quarto di secolo, più o meno unitariamente. Sono anche gli anni di piombo, c’è già stata Piazza Fontana, ma il peggio del Terrorismo deve ancora arrivare; si è fatta la legge sul divorzio e non ancora il referendum, Paolo VI è Papa, i comunisti sono forti e da sempre all’opposizione.

In Europa siamo ancora in piena Guerra Fredda: De Gaulle è morto da poco, in Germania Willy Brandt apre la distensione verso est, provando ad allentare la Cortina di Ferro, Franco è ancora al potere in Spagna. L’Unione Sovietica conosce la fase della stagnazione politica (ed economica) dell’era Breznev, ma mostra ancora i muscoli nello scontro con gli Stati Uniti, dove Nixon è presidente a un passo dal Watergate anche se ancora non si sa, l’America ha pianto e seppellito nelgli ultimi dieci anni i fratelli Kennedy e Martin Luther King e il Vietnam sta spegnendo gli ultimi fuochi della guerra, che ormai si trascina da un paio di decenni, simbolo di un mondo lontano, sanguinoso, politicizzato, eppure così vicino alle mobilitazioni collettive ed emotive.

L’eco del 1968, in Italia come altrove, non si è placato, anche se è iniziato a mutare. La torsione della società italiana, in particolare qui più che altrove, è epocale: le lotte studentesche si mescolano a quelle operaie, le rivendicazioni sindacali e collettive sono enormi e porteranno a grandi conquiste sociali, il contesto rimane pur sempre influenzato dalla violenza delle P38 (spesso in mano ai rossi) e dalle bombe di matrice fascista.

 

 

IL POTERE SECONDO BERLINGUER

 

 

In un’intervista a Mixer del 27 aprile 1983 Giovanni Minoli chiede ad Enrico Berlinguer che cosa sia il potere secondo lui. La domanda non è banale, si incunea nel sentire comune di un PCI relegato da sempre e per sempre ad un ruolo di opposizione. Nel decennale dalla morte di Berlinguer, Indro Montanelli scrive di lui che “portava le insegne del potere più come una croce che come un blasone”, un concetto forte che non deve farci pensare ad un segretario che rifugge dall’idea del potere, ma che invece ha rispetto della parola stessa, del suo significato e delle conseguenze che questa porta con sé.

La risposta di Berlinguer a Minoli è infatti illuminante: “uno strumento insufficiente ma necessario per realizzare i propri ideali”. Ogni parola è bilanciata, serve equilibrio e massima cautela quando si parla di potere e Berlinguer pesava sempre i concetti per non essere frainteso. Minoli incalza chiedendo all’intervistato cosa gli piaccia e cosa gli dispiaccia del potere; Berlinguer, parlando proprio da segretario e non soltanto a titolo personale, e continuando a pesare le parole, risponde che gli piace la possibilità di far avanzare la realizzazione degli ideali in cui si crede, mentre gli dispiace che il potere suo e dei compagni di partito sia ancora insufficiente per la realizzazione dei loro obiettivi.

“Insufficiente e necessario”: ecco spiegato il concetto, sviscerato a fondo in poche parole.

Negli anni della sua segreteria Enrico Berlinguer ha adottato strategie diverse per far arrivare i temi e le idee del PCI al governo del paese, strategie anche opposte ma coerenti col contesto storico e sociale internazionale e nazionale, che affronteremo nella prossime puntate: il compromesso storico, l’eurocomunismo e l’alternativa democratica.

 

28/05/2014
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