Belo Monte: gigantesca diga minaccia l’Amazzonia



Belo Monte è una località sulle sponde del fiume Xingu, nello Stato del Pará, all’estremo nord del Brasile. Non è il suo nome originale: per secoli, millenni probabilmente, si è chiamata Kararaô, un grido di battaglia della tribù indigena Kayapó. Poi nel 1989, gli indigeni si sono ribellati. Non volevano che Kararaô, il loro paradiso naturale, il territorio in cui vivono decine di comunità indios nel cuore della foresta amazzonica, venisse trasformata in un mega complesso idroelettrico, la terza diga più grande al mondo. Il governo brasiliano allora cambiò il nome in segno di rispetto alle tribù e ne scelse uno molto più rassicurante: Belo Monte. L’operazione di facciata non ha però nulla di rassicurante e la diga, 22 anni dopo, non è più solo uno spettro che fa paura, sta diventando realtà.


Un anno fa il governo brasiliano ha indetto la gara d’appalto, vinta dal consorzio Norte Energia. Nel gennaio di quest’anno, anche l’Istituto brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Rinnovabili, organismo legato al Ministero dell’Ambiente, ha dato il via libera al progetto. Tuttavia, tredici giorni prima dell’approvazione, il presidente dell’istituto, Abelardo Bayma, aveva rassegnato le dimissioni per le fortissime pressioni ricevute dal governo Lula. Adesso i lavori di preparazione del cantiere sono già iniziati e la conclusione dell’opera è prevista per l’inizio del 2015. Del progetto di Belo Monte, si cominciò a discutere per la prima volta nel 1975. Poi nel 1989, durante il 1º Incontro dei Popoli Indigeni dello Xingu, al quale partecipò anche la star dei Police Sting, Tuíra, una giovane indio che abita nella zona, si alzò, si avvicinò al tavolo dei relatori e passò la lama del suo coltello davanti al viso del presidente di una impresa costruttrice. Le tribù erano pronto a lottare fino alla morte. Il progetto in seguito è stato modificato più volte, al fine di tentare di mitigare lo spaventoso impatto che avrà sull’ecosistema della regione. Al fianco della battaglia si sono schierati ambientalisti, tutte le grandi associazioni come Greenpeace e Amazon Watch e anche famose star di Hollywood, come il regista di Avatar James Cameron e gli attori Sigourney Weaver e Joel David Moore. La battaglia non è stata solo legale, fatta di corsi e ricorsi in Tribunale, ma ha lasciato sul campo anche Ademir Federicci, un ambientalista assassinato nel 2001 con un colpo in bocca mentre dormiva accanto alla moglie e al figlio piccolo, dopo aver partecipato ad un dibattito sul progetto di Belo Monte. Un’opera che nel 2009 è stata dichiarata impraticabile anche da 40 specialisti di università brasiliane ed internazionali che hanno firmato un documento di 230 pagine in cui si evidenziano gli eccessivi costi sociali e ambientali. Ma i lavori sono già iniziati e la Norte Energia ha ricevuto l’autorizzazione per distruggere 238 ettari di foresta amazzonica (2,38 milioni di metri quadrati) per l´apertura del cantiere. Il bacino idroelettrico avrà una superficie di 516  KM² e causerà un impatto enorme sulla regione. Il corso del fiume Xingu sarà deviato grazie a due grossi canali di 75km di lunghezza e 500m di larghezza che movimenteranno più terra di quella rimossa per la costruzione del canale di Panama. Il fiume subirà una forte riduzione del flusso d’acqua, alterando la flora e la fauna circostante e costringendo 20mila persone ad abbandonare le proprie case ed interrompendo le vie di comunicazione fluviali degli indigeni che utilizzano le canoe per spostarsi da un villaggio all’altro. Si stima che Belo Monte attrarrà anche 100mila persone per la costruzione dell’opera, ma al termine dei lavori appena 2mila saranno gli impiegati a lungo termine. Tuttavia la regione non è attrezzata dal punto di vista delle infrastrutture per ricevere una immigrazione così imponente nel breve periodo e si temono tensioni sociali tra le popolazioni, oltre al tentativo da parte dei migranti di invadere i territori degli indios. Inoltre, gli studi hanno evidenziato come Belo Monte sia uno dei progetti più inefficienti dal punto di vista energetico mai costruiti. Mediamente, durante l’arco dell’anno, produrrà solo il 39% dell’energia in grado di generare se funzionasse sempre a pieno regime. Durante la stagione secca (3-5 mesi all’anno) infatti, i livelli si abbasseranno ad appena il 10% della capacità produttiva. Il WWF ha calcolato che se il Brasile investisse sull’efficienza energetica (sistemazione della rete elettrica, aggiornamento dei generatori e diminuzione della dispersione) avrebbe a disposizione l´equivalente dell’energia di 14 impianti idroelettrici della portata di Belo Monte. L’opera invece, oltre allo spaventoso impatto sociale, costerà 17 miliardi di dollari, per l’80% finanziata dallo Stato. Ed appena il 70% dell’energia prodotta, in totale 11.233  MW all’anno, sarà destinata al consumo della popolazione, mentre il restante 30% servirà per le attività di estrazione mineraria per le quali il governo brasiliano ha pianificato di stanziare 40 miliardi di dollari entro il 2014. Lula e il suo predecessore Fernando Henrique Cardoso, hanno benedetto il progetto. Adesso, l’ultima speranza per bloccare Belo Monte, gli ambientalisti l’hanno riposta in una raccolta firme avviata su avaaz.org che appena raggiungerà quota 500mila adesioni (ad oggi ne mancano poche migliaia) consegneranno alla presidente Dilma Rousseff, l’unica che può ancora fermare l´ennesima devastazione al polmone del mondo e alle popolazioni che ci vivono.

Andrea Torrente

27/04/2011
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